Infibulazione e richiesta di protezione internazionale


Donna Mali

A fronte della richiesta di protezione internazionale di un cittadino del Mali che deduce di essere fuggito con la famiglia dal Paese d’origine per le vessazioni subite dopo aver rifiutato di praticare la mutilazione genitale alle proprie figlie, il Tribunale non può escludere i requisiti per il riconoscimento della protezione sulla base del solo fatto che le norme di quel Paese vietano tale prassi (Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza n. 17954/2020, depositata il 27.8.2020). 

Un cittadino del Mali proponeva ricorso dinanzi al Tribunale di Torino avverso la decisione con cui la Commissione territoriale aveva rigettato la sua istanza di protezione internazionale. L’uomo aveva dedotto di essere fuggito dal Paese d’origine poiché, dopo essersi opposto alla pratica di mutilazione genitale delle figlie, aveva subito vessazioni da parte degli altri abitanti del villaggio. Era dunque fuggito con la famiglia alla ricerca di lavoro e migliori condizioni. Il Tribunale rigettava il ricorso e la Corte d’Appello confermava la decisione, sottolineando che le Autorità del Mali proibiscono la consuetudine dell’infibulazione, negando dunque la sussistenza dei requisiti per la protezione sussidiaria ovvero umanitaria.
Il richiedente ha proposto ricorso dinanzi alla Suprema Corte.

Una scena tratta dal film “Fiore del deserto” (2009), film che racconta la vita di Waris Dirie, modella ed attivista contro le mutilazioni genitali femminili

Secondo il ricorrente i Giudici di merito si sono limitati ad affermare che la pratica dell’infibulazione è combattuta dalle Autorità del Mali, pur dando atto che invece nelle comunità le pressioni in tal senso continuano anche con modalità violente nei confronti di chi si oppone a tale pratica. Il Collegio ritiene fondato il ricorso in quanto la pronuncia impugnata non approfondisce il tema delle conseguenze cui sono esposti i genitori che si oppongono alla pratica di mutilazione genitale delle figlie, nonostante la presenza di elementi utili al riguardo tratte dai rapporti di Organismi internazionali che mostrano come sia ancora forte la pressione a favore di tale pratica. Il Collegio dunque non poteva limitarsi a richiamare le disposizioni normative, seppur di natura penale, che vietano l’infibulazione, bensì avrebbe dovuto assumere adeguate informazioni presso Organismi internazionali che monitorano il fenomeno per valutare l’attuale sussistenza della costrizione sociale subita dal ricorrente.
Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte d’Appello.

Alessandro Gargiulo

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