Con l’avvicinarsi delle amministrative inizia a decollare il dibattito che vede coinvolti diversi soggetti. Il sentore che sia necessario aprire un nuovo ciclo è forte. Resta la domanda su come costruire un percorso aperto in cui la partecipazione non rimanga solo una petizione di principio evitando che si ripieghi su nuove derive populiste. Si sta assistendo a un certo movimentismo della cosiddetta società civile. Scena ormai abbastanza consueta all’approssimarsi di appuntamenti elettorali. Altrettanto rituali gli appelli alla partecipazione e gli ineludibili tavoli tematici. Che, certo, sono una buona pratica. Ma per affrontare con serietà il tema bisogna forse prima collocarlo nel suo contesto reale.
La città, non c’è chi non lo veda, è attraversata da una crisi economica e sociale – trasversale ai ceti- inedita nelle sue dimensioni che dura da più anni. La pandemia, che è nel pieno della seconda ondata, non farà che approfondire questa dinamica. È persino scontato dire che se non si riusciranno a dare subito risposte efficaci si possono generare pericolosi fenomeni di disgregazione sociale. Si tratta di uno scenario reso ancora più complicato dal forte distacco tra le istituzioni e i cittadini che si avverte a Napoli più che altrove. Senza sconfinare troppo si può dire che è anche di una rilegittimazione della politica migliore quello di cui la città ha bisogno.
I futuri amministratori della città saranno inevitabilmente messi alla prova su due direttrici: la tenuta della coesione sociale e la rigenerazione economica non solo di Napoli ma dell’intera area metropolitana. Non si può sottovalutare il fatto che il Recovery Fund, se risponderà a una strategia nazionale intelligente e programmata, può essere una irripetibile occasione per dare vita a un ampio progetto di riconversione economica che sia espansiva sul piano dell’occupazione e sostenibile sul piano ambientale e sociale. Anche per questo vanno bloccate le spinte per disperderlo nei mille rivoli di interessi particolaristici. Il Recovery Fund è un’occasione che non va sprecata, come l’amministrazione della terza città d’Italia è qualcosa di troppo serio per essere lasciato all’improvvisazione. Per questo è prioritario ripristinare una corretta dialettica istituzionale che abbia nel governo centrale il suo terminale e negli enti locali il tramite di un processo che va nella direzione di un ripensamento dell’esodo sbrigativo nell’economia post-industriale imperniata su servizi e turismo.
L’accorciamento delle filiere della globalizzazione e il ruolo di centralità del Mediterraneo negli equilibri geopolitici richiedono un nuovo protagonismo della città più grande del Mezzogiorno nella sua duplice collocazione europea e mediterranea: tutt’altra cosa da un municipalismo di maniera. Tutti i servizi (trasporti, istruzione, welfare) dovranno essere portati all’altezza di questo obiettivo. Ma la premessa a tutto è che la prospettiva di un’economia produttiva di nuova generazione torni nell’agenda politica di chi governa il paese e di chi amministrerà la metropoli napoletana.
Dunque cosa occorre perché quelle che saranno le elezioni amministrative più importanti per Napoli negli ultimi trent’anni non siano un giro a vuoto? Non la stanca ripetizione di prove di forza interna al micronotabilato con le primarie. Bene ha fatto che le ha tolte dal tavolo. Una discontinuità dovrà necessariamente muovere i primi passi dalle forze organizzate; poi serve che queste assicurino apertura e confronto. Il percorso dovrà essere tutto politico senza cedere nulla alla retorica delle proposte dal basso e degli uomini o donne nuovi o nuovissimi. Il tempo dell’antipolitica sembra al tramonto, ed è un bene.

Servono tutte le energie migliori ma anche forti elementi di discontinuità. Non servono invece revanchismi e rese dei conti. Le forze che traghetteranno Napoli in una nuova stagione dovranno avere cura innanzitutto di ricucire i troppi strappi prodotti con i settori più a disagio della società napoletana. Più che un candidato che si costruisce una coalizione a sua misura serve costruire una proposta con un paziente lavoro di sintesi. Dunque non sommatorie di ceto politico ma una diagonale da tracciare tra tutti i soggetti politici e sociali che vogliono battersi per rilanciare Napoli con un progetto inclusivo. Per questo l’obiettivo deve essere innanzitutto tornare a rappresentare chi rappresentato non si sente più. Serve certamente una discussione larga e partecipata. Ma soprattutto serve che ai tavoli siedano non solo i pochi soliti noti ma almeno idealmente anche i tanti soliti ignoti che abitano la grande metropoli napoletana.
Raffaele Cimmino