L’indigenza e lo sfratto per morosità giustificano l’occupazione di una casa popolare


Plausibile la linea proposta dalla difesa di due donne sotto processo; sussistente, per i giudici, la situazione di estremo disagio da loro vissuta, e resa più grave dalla presenza di una minorenne con problemi di salute (Cassazione, sentenza n. 35024/20, sez. II Penale, depositata il 10.12.2020). Sotto accusa due donne, intente ad occupare illegittimamente, assieme ad una minorenne, una casa popolare. Il quadro probatorio è ritenuto sufficiente, secondo i giudici di merito, per una loro condanna: entrambe le donne sono ritenute colpevoli di «abusiva occupazione di un alloggio di proprietà dell’Istituto autonomo case popolari».
Col ricorso in Cassazione, però, il legale ritiene erronea la valutazione compiuta in appello, soprattutto perché si è escluso «lo stato di necessità» che ha spinto ad agire illegalmente le donne.

Per la Suprema Corte i dettagli della vicenda ritengono plausibile riconoscere una giustificazione alla condotta tenuta dalle due donne.
In primo luogo, viene ribadito che «l’occupazione arbitraria di una casa popolare» può essere giustificata «solo in presenza del pericolo attuale di un danno grave alla persona, non coincidendo la causa di giustificazione dello stato di necessità con l’esigenza di reperire un alloggio e risolvere i propri problemi abitativi». Così, in passato, è stata legittimata «l’occupazione arbitraria di un alloggio di proprietà dello IACP in quanto l’imputata, dopo un litigio con il marito, con il quale condivideva un alloggio insalubre, si era trovata con la propria figlioletta priva di riparo, in una situazione così grave ed eccezionale che l’amministrazione comunale del luogo aveva poi requisito l’appartamento per destinarlo a residenza temporanea del nucleo familiare della donna».
Nella vicenda in parola «le due donne sotto accusa hanno compiutamente e dettagliatamente allegato una situazione di estremo disagio, ed in particolare l’impossibilità di procurarsi altrimenti una casa all’indomani dell’esecuzione dello sfratto per morosità dall’alloggio che occupavano in precedenza», e tale necessità «era ancor più cogente per tutelare la salute della minorenne con esse convivente e affetta anche da gravi problemi di salute».
Secondo i giudici della Cassazione, quindi, le due donne hanno fornito prove concrete in merito all’avere agito per una evidente situazione di necessità. Erronea perciò la valutazione compiuta in appello.

Dal Palazzaccio tengono poi a precisare che «se è vero che attraverso l’occupazione abusiva di un edificio di edilizia popolare non è possibile ovviare in maniera duratura all’impossibilità di procurarsi un alloggio», deve tuttavia rilevarsi che «lo stato di necessità» evocato dalle due donne, cioè quello conseguente all’«esecuzione di una sentenza di sfratto per morosità, in ipotesi cagionato dalla loro assoluta indigenza» può «legittimare, almeno per un periodo iniziale, l’accertata occupazione, rendendo meno grave il reato agli effetti della commisurazione del complessivo trattamento sanzionatorio».
Plausibile, quindi, la tesi proposta dal legale delle due donne, tesi su cui comunque dovranno nuovamente pronunciarsi i giudici d’appello.
Per quanto concerne, infine, lonere probatorio, i magistrati della Cassazione fissano, in chiusura, il principio secondo cui «ai fini della configurazione di una causa di giustificazione, l’imputato è gravato da un mero onere di allegazione, essendo tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze altrimenti ignoti che siano in astratto idonei, ove riscontrati, a configurare in concreto la causa di giustificazione invocata; ove tale onere di allegazione sia positivamente adempiuto dall’imputato, l’onere di dimostrare la non configurabilità della causa di giustificazione invocata grava sulla parte pubblica e, nei casi in cui residui il dubbio sull’esistenza di essa, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato».

Alessandro Gargiulo

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