di Salvatore Rotondi
“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.”
(Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo)
Il Tempo della sospensione
Pensando alla cronaca di questi giorni (paura dei contagi, crisi politiche, conflitti di interessi tra governanti e governati, tra rappresentanti dei popoli e potenze industriali, tra chi ha e chi non ha, tra chi si sa arricchire e chi ha perso tutto, tra chi cavalca il cambiamento e chi non lo concepisce neanche, tra il Vecchio ed il Nuovo Mondo insomma) e paragonandola allo stato di evoluzione psichica adolescenziale, così tesa tra la propria vecchia vita infantile e la nuova vita adulta che l’aspetta, carica di speranze di successo o di timori di fallimento, di sogni e di incubi, di potere e di responsabilità, mi sento un po’ come se fossi afferrato da un certo tipo di temporalità, il Tempo della sospensione dell’affanno pensieroso, in pausa, senza passato né futuro, un eterno presente la cui unica forma di azione è stare, starci, essere.
Ed allora mi sento come al centro dell’orologio, quello antico, quello con le lancette, anzi senza lancette, come ne “ll Posto delle Fragole” (Ingmar Bergman, 1957), al centro di quello schermo bianco, come il Tao, confuso e, allo stesso tempo, lucido; preso nel mezzo (ma primo di ansia) tra il Vecchio minuto-secondo ancora non passato (vecchio deriva proprio dal latino tardo vĕclus e classico vĕtŭlus e si può dire proprio di tutte quelle entità complesse e organizzate che, dal proprio nascere, attraversano vari stadi o gradi di vita fino alla propria morte) e quel secondo-minuto Nuovo che ancora non ha da essere (Nuovo deriva dal latino nŏvus e sta ad indicare proprio tutto ciò che è nato ed è stato fatto da poco ma che, nonostante già esista, ancora non è stato usato, non ha ancora agito e reso concreto il proprio esistere).
La dimensione tra le dimensioni
In questa dimensione tra le dimensioni, inizia nella mia mente, in sottofondo, la cantilena di una filastrocca quasi dimenticata: Trenta giorni a novembre, con aprile giugno e settembre, di ventotto c’è ne uno, tutti gli altri fan trentuno. Le stagioni sono quattro, anche se una volta almeno c’erano le mezze stagioni che ti permettevano di fare il cambio di guardaroba. Ah, se le giornate avessero più di 24 ore; beh, se fossimo su Marte, ad esempio, avremmo circa trentasette minuti in più. Ma chi ci starebbe su Marte? Già soffro di solitudine qui, figuriamoci lì. Ed allora restiamo sulla terra, tanto ogni settimana è composta da sette giorni; e poi, domenica è sempre domenica, anche se per qualcuno il sabato vale molto di più ed è il tempo da dedicare al Signore. Che mazzata il lunedì, ma almeno ci si ritrova con gli amici o i colleghi al bar, a parlare della cronaca sui giornali o degli smartphone, a guardare cosa ha fatto quello o dove è stato quell’altro. E le giornate passano. Una volta c’era lo sceneggiato del martedì, la prima visione del film che dal cinema arriva in televisione dopo mesi e tutti, pagando il canone televisivo o sospirando davanti all’ennesima interruzione pubblicitaria (ma sì, quella merendina domani la vado proprio a prendere e poi, c’è la nuova raccolta punti…), il mercoledì ci sono le Coppe Europee di Calcio (chissà se l’Italia passa, perché in Coppa siamo tutti un po’ anche della squadra avversaria), il giovedì beh…e finalmente arriva il venerdì, preludio alla domenica. Cosa facciamo questo weekend? Gita in campagna? Fa freddo, c’è la neve? Ma sì, una bella settimana bianca.
No, ma stiamo scherzando? Siamo gente di Cultura; ed allora tutti nelle Città d’Arte. Uff, i soliti italiani che si guardano l’ombelico; siamo nel mondo Globalizzato e le frontiere dell’Europa sono oramai un ricordo, mica c’è più la Cortina di Ferro? La Guerra è finita, si è sciolta con le ultime nevi dei ghiacciai (oddio, che forse forse si stia surriscaldando insieme al pianeta?). Ed allora tutti all’aeroporto; si va nell’Europa dell’Est, dove finalmente la nostra pensione ha più potere d’acquisto e le donne non si fanno tanti problemi alle avances più o meno esplicite di noi uomini. Turismo sessuale? Ma sì, che poi sto freddo mi si è fissato nelle ossa come il Kukident della dentiera; andiamocene nella vecchia Indocina oppure in Brasile, lì fa caldo, e vediamo se possiamo rimediare un po’ di contatto con la nostra infanzia negata dai desideri appropriativi dei nostri genitori o dalle indebite carezze di qualche parente in là con gli anni. Perché d’altronde, condividere le proprie psichiche disgrazie è importante: mal comune, mezzo gaudio. Alla fine, è inutile fuggire, bisogna rassegnarsi, perché inesorabilmente lunedì torna sempre, così come le scadenze delle tasse, delle bollette e le parcelle del dottore, che si sia vax o no-vax. Il Sole sorge sempre, prima o poi, da Est mentre il Buttero/Cowboy insegue l’orizzonte della sua prossima avventura, immergendosi nella luce avvolgente del tramonto ad Ovest. E la Luna? La Luna bussó alle porte di qualcuno che, non rispondendo, la fece tanto arrabbiare da farle sfondare la sua porta per fare un po’ come le pareva, fino a quando, pentita delle conseguenze, ritornò solo a regolare i cicli delle maree.
E se un alieno arrivasse sul nostro pianeta?
Ma se un Alieno arrivasse sul nostro caro pianeta Terra, cosa direbbe? Beh, chissà, forse avvicinandosi piano a quella perla azzurrastra e spendente che noi abitiamo, inizierebbe a chiedersi da quanti eoni tale bellezza sia immersa nel mare cosmico in attesa di essere colta ed apprezzata. Arrivato ai margini del Pianeta, come se avesse zoomato con un gigantesco microscopio, vedrebbe un brulicante movimento sulla sua superficie (e non solo) di entità agitate e frenetiche, sempre scontente, alla ricerca del proprio posto; un posto sempre occupato, come al Cinema nonostante i posti numerati; un posto che sembrava al Sole ed invece è solo una lampada alogena che riesce a farmi la pelle un po’ olivastra, così da sembrare che anche io sono stato in Brasile (ovviamente non per turismo sessuale ma solo per le sue magnifiche spiagge… ed i tanga). L’Alieno, spaventato da tanto movimento ma anche incuriosito, è intelligente e comprende che quel sistema chiuso di contrapposizioni e conflittualità eterne è il modo in cui il Pianeta cerca di rendersi Immortale: produzione e riproduzione continua, sempre attraverso forme nuove, riciclando il vecchio come base e risorsa primaria onde sopravvivere. Come tutti sanno, Niente è Eterno nella sua Forma ma Tutto può essere Infinito nella propria Intima Sostanza, nel suo Essere eternamente Non-Essere.
È così che, l’Alieno, raccogliendo il Pianeta Terra, lo lancia sul Campo cosmico delle rivoluzioni stellari, giocandoci come se fosse una biglia e riprendendolo alla fine del gioco. Ah, no, quella era semplicemente la scena finale del film “Men in Black” (Barry Sonnenfeld, 1997). La terza legge della dinamica: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria…e, come seduti su una molla, siamo spinti su, nonostante la forza di gravità, e sostenuti nel nostro continuo incedere squilibrato attraverso i secondi, i minuti, le ore, i giorni, i mesi, le stagioni, gli anni, i decenni, sempre uguali eppure sempre diversi…perché nella diversità c’è la varietà delle nostre memorie, tutte collegate tra loro, da un filo che non è in linea retta ma che sa come attraversare le nostre menti, fatte di sogni, al di là dello spazio e del tempo.
L’eterno ritorno
Nella riproducibilità diversa di ciò che è riscopriamo allora le meraviglie di ciò che ancora non è ma che stiamo quasi per scoprire… attraverso quell’eterno ritorno, così ben descritto dal Giambattista Vico, del Vecchio rituale del Nuovo che avanza, verso una maggiore consapevolezza di Sé, senza memoria né desiderio, con la piena volontà di rendere visibile l’invisibile di quello che ci può sembrare solo un labirintico Senso inconoscibile…
…perché il Vecchio si fa Infinito, un Sistema Chiuso si fa Aperto e Vivo, solo quando non cerca più di Specchiarsi nel Nuovo che presto Sarà.
Salvatore Rotondi