RECOVERY FUND: un’opportunità unica per la Giustizia italiana


di Federico Iossa

Dal Recovery Fund dovrebbero arrivare all’Italia oltre 200 miliardi di euro. Una parte andranno alla Giustizia e al sistema penitenziario. Stando ad alcune anticipazioni della stampa si parlerebbe di circa 600 milioni di euro che potrebbero essere utilizzati per creare davvero un nuovo impulso al sistema giudiziario del nostro paese, che da troppo tempo oramai necessita di una seria e concludente riforma in grado di rendere una risposta chiara in termini di efficienza, ma al tempo stesso posizionando la persona e il suo bisogno di tutela al centro del sistema giustizia.
È impellente, infatti, soprattutto, portare un concreto contributo alla modernizzazione della giustizia, intesa quale motore di sviluppo di una società inclusiva, caratterizzata da più ampi livelli di benessere collettivo, e quindi capace di garantire la soluzione migliore rispetto all’aspettativa di tutela dei cittadini.

Federico Iossa, nasce a Napoli l’11.07.1973. Si laurea in Giurisprudenza all’Università Federico secondo di Napoli nell’ottobre del 1996, con una tesi in Diritto e Procedura Penale presso la Cattedra del Prof. Riccio. Dal 1996 al 1998 collabora con la Cattedra di Procedura Penale del Prof. Avv. Alfonso Furgiuele, presso l’Università di Campobasso, divenendo cultore della materia. Iscritto all’Albo degli avvocati dell’Ordine di Napoli nel 2000, attualmente esercita attività di patrocinio forense e consulenza stragiudiziale in diritto penale e procedura penale, con particolare riguardo alle tematiche inerenti i reati contro la P.A. Dal 2000 a tutt’oggi ha partecipato a numerosi corsi di formazione, conseguendo specializzazioni in Diritto penale minorile, Diritto penale di Impresa, Diritto penale di internet e nuove tecnologie, Diritto penale finanziario, Reati contro la P.A, Reati ambientali, Diritto sportivo. Attualmente collabora con alcune riviste giuridiche, nonché quotidiani on line, ed è Componente della Commissione Penale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli.

Ormai è noto che i problemi che riguardano l’esercizio della funzione giurisdizionale siano riferibili principalmente alla durata dei processi e alle eccessive pendenze, accompagnate spesso dall’incertezza degli esiti dei giudizi.
Pertanto risulta attuabile un piano di razionalizzazione e semplificazione del quadro normativo esistente, si da rendere il ricorso alla norma più veloce e scevro da contrastanti interpretazioni, così come fondamentale sarebbe investire sull’organizzazione in senso stretto della giustizia, non solo attraverso la tecnologizzazione degli uffici giudiziari, in grado di far fronte con celerità ed efficienza al processo di telematizzazione in atto in tutti i settori, compreso quello penale, ma anche con l’implementazione delle professionalità di alto livello e delle competenze specifiche degli operatori del settore.
La emergenza sanitaria, difatti, ha reso ancor più evidenti le lacune e le carenze di strutture, mezzi, sia a livello di gestione della edilizia giudiziaria, che di organizzazione del lavoro del personale in essa operante.

Per razionalizzare e semplificare la giustizia italiana, bisognerebbe quindi partire da un diverso inquadramento dell’accesso e del ricorso alla giurisdizione, al fine di consentire al cittadino di fruire di procedure più snelle che puntino alla qualità della materia del contendere, anche attraverso una deflazione del carico giudiziario per la magistratura. Il ricorso alla giurisdizione volontaria ad esempio, così, dovrebbe essere concepito come ultimo ma sicuro baluardo di certezza per il cittadino che non ha potuto usufruire delle valide alternative messe in campo a sua disposizione per la risoluzione del conflitto. Ciò potrebbe avvenire anche attraverso un investimento ancor maggiore nella giustizia cosiddetta “complementare”, ovvero ad esempio gli arbitrati, in questo modo rifornendo di valore sedi alternative a quella giudiziaria.
In ambito penale, la via maestra, che associazioni di categoria forense in particolar modo, stanno indicando da qualche tempo, con insistenza, sarebbe il ricorso sempre più frequente alle procedure che consentono di evitare il processo, rivedendo al contempo il catalogo dei comportamenti che possono assumere rilevanza penalistica, così come razionalizzando i tempi di durata delle indagini preliminari e aumentando considerevolmente, come con grandissime difficoltà si sta cominciando a fare, i legami tra tecnologia e procedimento penale, ma tenendo sempre presente che l’unico epilogo del processo penale “ordinario” debba essere la presenza delle parti nell’aula di giustizia.
Sarebbe, a questi fini, da considerare utile il ricorso a procedure interne agli uffici giudiziari, finalizzate alla valutazione del lavoro degli addetti, anche attraverso l’implementazione di criteri manageriali di gestione dei Tribunali.
Tali accessi finanziari potrebbero costituire l’occasione, inoltre, per rivedere l’ultima riforma in materia di geografia giudiziaria, attraverso il ricorso alla famosa “giustizia di prossimità”, e dunque un miglior accesso alla giurisdizione anche da parte dei cittadini. Un approccio condiviso anche dall’Unione europea che riconosce il ruolo strategico di una giustizia facilmente accessibile. Nelle “Linee guida sulla revisione della geografia giudiziaria per favorire le condizioni di accesso ad un sistema giudiziario di qualità“, la European Commission for the efficiency of justice (CEPEJ) del 23 giugno 2013 sottolineano come la «giustizia di prossimità» costituisca un valore fondamentale di uno Stato di diritto.

È così importante, come sottolineato anche da alcune associazioni di categoria forense (quale il CNF), pensare alla possibilità di istituire o migliorare strutture che costituiranno il primo momento di contatto tra il cittadino e la richiesta di tutela, fornendogli informazioni qualificate e poterlo indirizzare verso la sede più opportuna rispetto a ciò di cui ha bisogno (es. Sportelli al cittadino).
Altro obiettivo che andrebbe certamente tenuto nella giusta considerazione, sarebbe quello di un investimento a grandi livelli nelle competenze di tutti coloro che lavorano nell’ambito della giustizia, ovvero gli operatori del diritto, avvocati, magistrati e personale degli uffici giudiziari.
Potrebbero istituirsi scuole di formazione di alto profilo tecnico ed anche manageriale per i magistrati, ed il loro staff; così come per gli avvocati, al fine di renderli sempre più protagonisti della vita del processo in tutte le sue fasi, andrebbero previsti corsi di formazione e specializzazione  di uno spessore più elevato di quelle esistenti.
Sono fin troppo di attualità le criticità che stanno venendo a galla, a seguito delle inchieste sviluppate sul fenomeno delle “correnti” in ambito giudiziario, che hanno delegittimato, soprattutto agli occhi dei cittadini, il ruolo supremo della Magistratura, quale Ente autonomo e sottoposto esclusivamente alla Legge e non ai rapporti di potere politico. Ecco che, anche in questo senso sarebbe necessario riportare le competenze e le professionalità nei ruoli dirigenziali interni all’amministrazione della giustizia. Ripensando, al tempo stesso, la procedura che permette ai magistrati la possibilità di candidarsi alle cariche politiche, congelando il rapporto di dipendenza pubblica con l’Amministrazione, e di fatto creando una sorta di meccanismo che non esitiamo a definire perverso in termini quantomeno di opportunità e di garanzia di terzietà per il cittadino.
Risulta, quindi, urgente utilizzare le risorse del Recovery Fund per una riforma riformare della Pubblica Amministrazione, che rivoluzioni l’attuale modello che si fonda sull’immobilismo burocratico, e che appare ancora troppo vulnerabile rispetto alla corruzione, attraverso un sistema capace di valorizzare le capacità e le competenze anche esistenti all’interno della Pubblica Amministrazione. 
Attualmente il nostro Paese è al 51simo posto mondiale mentre a livello europeo risulta il sesto Stato più corrotto, sopra solo a Slovacchia, Grecia, Ungheria, Romania, Bulgaria. Sono dati che devono spingere verso una riforma organica della PA, andando verso criteri che favoriscano il merito e la legalità.

Altro tema verso cui potrebbe e dovrebbe tendere la risistemazione della Giustizia, grazie al Recovery, è quello della edilizia penitenziaria. Non è, a nostro avviso, costruendo carceri che si innova un sistema che invece ha bisogno di modernizzazione, creatività e investimenti nel campo delle risorse umane.
Rafforzando l’idea e la cultura, che proviene dalla Costituzione, secondo cui il carcere dovrebbe tendere al reinserimento, e non solo essere visto come luogo di punizione, capace, quindi, di sottrarre alle politiche penali un’ampia fascia di coloro che oggi affollano le strutture.
Come sappiamo ogni detenuto costa circa 130 euro al giorno. In confronto, le misure alternative costano meno di un decimo e hanno un ben più significativo impatto nella lotta alla recidiva e negli obiettivi di recupero sociale dei condannati, e quindi sono maggiormente tese anche ad un rafforzamento economico e sociale.
Al tempo stesso è necessario investire nella ristrutturazione delle carceri esistenti, coinvolgendo nella pianificazione la migliore intelligenza giuridica, accademica, ed architettonica, con  l’obiettivo di rimodernizzare le carceri, nel rispetto di quanto previsto dalle norme interne e internazionali, in termini di spazi, diritti e opportunità. Pensiamo così, al cablaggio degli istituti, per il potenziamento delle infrastrutture tecnologiche, per prevedere ipotesi aggiuntive di didattica a distanza, per assicurare la formazione professionale anche da remoto, così da determinare maggiori possibilità di incontro con il mondo esterno, come quello del volontariato, per aumentare le possibilità di video colloqui con familiari. La rimodernizzazione deve riguardare  anche le stesse camere di pernottamento, che attualmente sono, soprattutto in alcuni nosocomi tragicamente famosi per questo, delle vere e proprie celle insalubri, affollate, insane.
Infine, sarebbe sempre il caso di investire sul capitale umano, senza il quale ogni obiettivo, anche quello a maggior impatto tecnologico, resta utopico. 

Federico Iossa

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