Qualche riflessione a margine del Comunicato stampa
di Gaetano Esposito
La Corte Costituzionale, con il comunicato stampa del 15 aprile, rende noto che riconosce la illegittimità costituzionale del diniego di liberazione condizionale al detenuto che non collabori con la giustizia; tuttavia la Corte ha ritenuto di rinviare la decisione sulla questione al maggio 2022, concedendo un lungo termine al legislatore per por mano a una riforma dell’istituto.
Le ragioni di questo rinvio, si legge nel comunicato, risiederebbero nell’esigenza di evitare che l’accoglimento immediato delle questioni possa “inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata”.
Sul punto s’impongono alcune riflessioni di carattere tecnico e altre di carattere politico.
In primo luogo la decisione della Corte ha una portata pilatesca e meno rivoluzionaria di quanto s’immagini. L’esito appariva piuttosto prevedibile, tenuto conto della sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani del 13.06.2019, che dichiarò l’ergastolo ostativo contrario all’ordinamento sovranazionale e tenuto altresì conto della sentenza 253/2019 della stessa Corte Costituzionale, che dichiarò l’illegittimità dell’ergastolo ostativo in relazione al beneficio dei permessi premio. Dunque la decisione odierna della Corte si pone in pacifica continuità con la sua sentenza precedente e con la sentenza della CEDU.
Quello che appare poco chiaro è il rinvio della decisione per non scompaginare la strategia di contrasto alla criminalità organizzata.
Sembra che la Corte si ponga il limite di non varcare la soglia di competenza del legislatore, anche se altre volte lo ha fatto con disinvoltura, evitando, così, di entrare in un campo minato quale quello dei reati di mafia.
In verità non è chiaro perché un eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale avrebbe interferito con il sistema di contrasto alla criminalità organizzata. Sia la sentenza della CEDU che quella della Corte Costituzionale, sopra richiamate, si sono espresse in merito al requisito della collaborazione con la giustizia considerandola una libera scelta del detenuto non determinante ai fini della concessione dei benefici penitenziari; pertanto la Corte avrebbe potuto richiamare agevolmente quelle ragioni a fondamento dell’odierna decisione.
Inoltre non sembra conferente, nel caso di specie, il richiamo al sistema di contrasto alla criminalità mafiosa.
Cosa c’entra la strategia di contrasto ai reati mafiosi con la liberazione condizionale? Quest’ultimo è un istituto che, sebbene disciplinato dal codice penale come causa di estinzione della pena, attiene all’esecuzione della pena e prevede, come suoi presupposti, un limite di pena già scontato e soprattutto un comportamento che faccia ritenere sicuro il ravvedimento del detenuto. Siamo dunque in un campo in cui non dovrebbero entrare strategie di lotta al crimine organizzato ma soltanto valutazioni che attengono al progresso rieducativo del detenuto.
Se così non fosse dovremmo affermare che, solo per i condannati per reati di mafia, esiste una presunzione di irriducibilità e dunque di pericolosità sociale che verrebbe meno soltanto con la collaborazione con la giustizia.
Ma, se così fosse, la norma sarebbe illegittima, proprio come giustamente affermato dal Giudice delle leggi.
Sotto il profilo prettamente politico ci si chiede in quali spazi potrà ormai muoversi il legislatore dopo le sentenze citate, le quali hanno definitivamente segnato il cammino di chi pon mano alle leggi. Inoltre gli orientamenti delle forze politiche sulle questioni di giustizia sono così irriducibilmente contrastanti che non è difficile prevedere un periodo di stasi che impedirà di colmare il vuoto legislativo creatosi fino all’intervento definitivo della Corte Costituzionale.
Infine la Corte, nel comunicato stampa, segna i confini che il legislatore deve tener presente allorquando andrà a riformare la liberazione condizionale e sono: la peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso; le regole penitenziarie e il valore, da preservare, della collaborazione con la giustizia.
È un compito arduo per un legislatore che ancora non accetta l’idea dell’illegittimità dell’ergastolo ostativo e non ammette che la lotta alla criminalità organizzata non può passare per la soppressione dei diritti umani e delle garanzie.
Gaetano Esposito