di Alessandro Gargiulo
In tema di responsabilità medica, data la natura contrattuale del rapporto intercorrente tra la struttura sanitaria e il paziente, costituisce inadempimento della prestazione il ritardo della stessa, salvo la prova che esso sia imputabile al paziente (Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza n. 16936/2021, depositata il 15.6.2021).
La vicenda processuale da cui origina la questione riguarda il ricovero d’urgenza del paziente presso la struttura ospedaliera locale per un intervento d’urgenza. L’intervento, tuttavia, veniva ritardato a causa della sopravvenienza di un caso ritenuto più grave, con conseguente trasferimento dell’uomo in una clinica privata per decisione dei suoi familiari. Il paziente chiedeva il rimborso della somma versata per l’intervento alla Regione Lazio, che però riteneva ingiustificata la richiesta, costringendolo a far ricorso al Tribunale che, a sua volta, rigettava la domanda. La Corte d’appello di Roma, in totale riforma della sentenza impugnata, condannava l’Azienda ospedaliera al risarcimento della somma richiesta dal paziente, ritenendo che la prestazione fosse urgente e che il differimento avesse costituito inadempimento, con conseguente danno consistito nella necessità della spesa effettuata successivamente presso l’istituto di cura privato.
L’Azienda ospedaliera ricorre in Cassazione, lamentando la mancata prova dell’inadempimento, trattandosi di una responsabilità contrattuale, e l’impossibilità della prestazione determinata dalla condotta del paziente, per avere reso impossibile la prestazione.
Data per ammessa la natura contrattuale del rapporto, grava sull’Azienda ospedaliera la prova che il ritardo della prestazione sia imputabile al paziente: la struttura, in realtà, non ha dimostrato che il differimento dell’intervento fosse inevitabile, con conseguente inadempimento della prestazione. Quanto alla decisione dei familiari di trasferire il paziente nella clinica privata, non è da ritenersi contraria a correttezza, nel senso che controparte non ha cooperato al fine di consentire l’adempimento della prestazione, ma deve essere intesa come causa di impossibilità sopravvenuta di quella stessa prestazione, resa cioè impossibile dal trasferimento del paziente. Non avendo l’Azienda dimostrato che non aveva modo di intervenire sul paziente a causa di sopravvenienze più gravi, tuttavia, si deve ritenere che la condotta del paziente non costituisca causa di impossibilità sopravvenuta, bensì di condotta conseguente all’inadempimento altrui, volta ad evitare un danno maggiore: la mancata soddisfazione dell’interesse del creditore, pertanto, non può essere imputata alla condotta colpevole di quest’ultimo, con conseguente esclusione del suo inadempimento.
Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite.
Alessandro Gargiulo