La Cedu sul diritto dell’imputato a rilasciare dichiarazioni spontanee


di Alessandro Gargiulo

È quanto deciso dalla CEDU nel caso Maestri ed altri c. Italia (ric. 20903/15+2) l’8 luglio 2021.
I ricorrenti erano stati rinviati in giudizio con l’accusa di truffa aggravata e di associazione a delinquere per aver creato una serie di cooperative per aggirare le regole contabili e gli oneri discendenti dal Regolamento (CEE) 856/84 e dalla L.119/93 sulle quote latte.
Hanno sempre contestato di avere avuto un ruolo attivo nelle stesse:
non erano implicati nella loro gestione e nell’amministrazione essendo dei semplici contabili che eseguivano gli ordini dei loro superiori.

La Cass. SS.UU. 27620/16 ha sancito l’obbligo del giudice a procedere, in sede di riesame, a riascoltare, anche d’ufficio, i testimoni, «i testimoni assistiti, i coimputati – nello stesso od in un giudizio correlato – e l’imputato» le cui dichiarazioni, anche spontanee, erano state decisive per l’assoluzione (o condanna Cass. 46210/19).
La Cass. 51983/16 ha però stabilito che non vi era questo onere relativamente alle dichiarazioni spontanee, poiché al contrario di quelle rilasciate durante l’esame dell’imputato, non erano soggette al contraddittorio ed ottenerle d’ufficio avrebbe comportato una lesione dei diritti alla difesa dell’imputato.
Infine, la Cass. 12544/16 evidenzia come l’assenza dell’imputato alla prima udienza non implica una sua rinuncia ad essere sentito, anche perché essa deve essere espressa inequivocabilmente durante l’udienza stessa.

In primo luogo la CEDU ricorda che le Corti interne sono obbligate a valutare direttamente tutti i fatti ed i diritti sottesi alla vicenda, sì da decretare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, altrimenti il processo non sarebbe equo.
Non tutti i tipi di processo penale implicano la pubblicità dell’udienza e la presenza dell’imputato che, salvo casi tassativi, può ben rinunciare ad assistere alle udienze, essendo difeso dal legale di fiducia o d’ufficio.
In linea di massima la prassi della CEDU sull’art.6 prevede che ogni imputato debba essere sentito e che questi possa rinunciare volontariamente in modo esplicito ed inequivocabile a questa facoltà, affidandosi alla difesa tecnica (Lorefice c. Italia del 29/6/17).

Essendo due diritti distinti la rinuncia a presenziare alle udienze non può implicare anche quella ad essere sentito, tanto più quando ciò è decisivo per l’esito del giudizio


A conferma di ciò la CEDU ricorda che decidere una questione puramente giuridica sulla base della giurisprudenza in materia (Dumitrascu c. Romania del 15/9/20), senza analizzare i fatti non lede l’equo processo come non procedere all’audizione dell’imputato e dei testi nel caso in cui si faccia una nuova esegesi dei fatti e delle norme sottesi al caso come nella fattispecie: per la prima volta in appello è stata concretamente contestata l’associazione a delinquere.
Era fondamentale, dovendosi dimostrare l’elemento materiale di questo reato e per acclarare le intenzioni dei ricorrenti, procedere ad ascoltarli e risentire i testi (C. ed M.) del primo grado.

In conclusione, l’interpretazione dell’art. 603 cpp fatta dalle Corti di appello che introduce l’equazione che chi rinuncia a presenziare alle udienze rinuncia al diritto di essere ascoltato perché disinteressato allo stesso è inaccettabile, tanto più che in questi casi i giudici hanno il dovere di attuare misure protettive dell’imputato e dei suoi diritti processuali.
Ciò implica anche il dovere di riascoltare i testimoni quando le loro asserzioni sono decisive per l’esito del processo come nella fattispecie.

La CEDU ha rilevato un’altra criticità dell’art. 603 cpp relativa alla facoltà di rilasciare dichiarazioni spontanee ex art. 494 senza che né il giudice né le altre parti del processo possano interferire con quanto detto dall’imputato.
Questa facoltà, come rilevato dalla nostra Cassazione, ponendo l’unico onere di attenersi all’oggetto dell’imputazione potrebbe spingere l’imputato a fare dichiarazioni in contrasto col diritto di tacere e di non autoincriminarsi, sì che devono essere adottate dal giudice tutta una serie di misure protettive.
In sede di riesame è impossibile che un avvocato contesti fatti e prove che hanno portato all’assoluzione del cliente, ben potendo e volendo contestare e dibattere su quelle a suo sfavore (nel nostro caso il ruolo e le mansioni rivestite dai ricorrenti all’interno delle cooperative incriminate).
È palese che ex art. 603 cpp anche queste dichiarazioni sono decisive per decretare l’esito del processo e che si giunge al paradosso, in contraddizione con le motivazioni delle Corti interne sopra riportate, di negare il diritto di essere ascoltato anche a chi era presente in aula.
Non a caso il nostro ordinamento concede l’ultima parola alle repliche del difensore dell’imputato, il che non implica a fortiori che questi intenda rinunciare ad essere ascoltato, trattandosi di diritti ben distinti ed autonomi.

In breve, dovendosi dimostrare l’elemento materiale del reato di associazione a delinquere e l’intenzione dei ricorrenti (nonché il ruolo effettivamente ricoperto all’interno delle cooperative) era decisivo che venissero ascoltati in giudizio.
Alla luce di tutto ciò è stata ravvisata una deroga all’art. 6 §.1 Cedu e riconosciuto un indennizzo da €.6500.

Alessandro Gargiulo

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