di Salvatore Rotondi
“I monti sono nati per le zuccate che la Terra ha sempre dato contro il Cielo nel tentativo di emularlo.” (Gengis Khan)
“La determinazione dice: Voglio. L’uomo dice: Io scalerò questa montagna. Mi hanno detto che è troppo alta, troppo distante, troppo ripida, troppo rocciosa e troppo difficile. Ma è la mia montagna. Io la scalerò. Mi vedrai presto salutare dalla vetta oppure morto ai sui fianchi nel tentativo di farlo.” (Jim Rohn)
“Nelle città senza Mare… chissà a chi si rivolge la gente per ritrovare il proprio equilibrio… forse alla Luna…” (Banana Yoshimoto)
“Il luogo dove vi è più energia al mondo è quello dove l’elemento acqua si unisce all’elemento terra. In riva al mare, al Sole, dove anche l’elemento fuoco è presente, l’energia è ancora maggiore.
A cui si unisce la forza dell’aria, data dalla brezza del vento” (Fragmentarius, Paracelso)
“…Mare, mare, mare voglio annegare; portami lontano a naufragare; via, via, via da queste sponde; portami lontano sulle onde…”. Questa strofa, tratta dalla canzone “Passammo l’estate su una spiaggia solitaria” di Franco Battiato (1981), è profondamente legata ai miei ricordi d’infanzia ed appartiene al primo testo che ho imparato volutamente a memoria per poterlo recitare. In sintesi la canzone richiama ricordi della gioventù del suo stesso autore, la calura del periodo estivo ed il mare che rappresentava la via principale per andare via dall’isola e, allo stesso tempo, allontanarsi da quella situazione di vita e dalla memoria della stessa. Molti d’altronde dicono che il mare non ha memoria o, a me piace pensarlo, contiene tutte le memorie del Mondo.
Ho iniziato questo nostro appuntamento mensile sbilanciando già il discorso e dichiarando il mio legame e la mia passione per il mare, a cui si legano praticamente tutti i momenti di svolta o significativi della mia vita. Dovrei, in un certo senso, parlare più della stagione (l’Estate) che non del mare in sé. Perderei, però, in questo modo tutta la dimensione simbolica che entrambi gli oggetti di questo scritto racchiudono.
Pertanto, dato che si è accennato al Mare, ora parleremo della Montagna. Quest’ultima ha rappresentato, per gli esseri umani, un ostacolo e un obiettivo, un rifugio e un luogo altro, carico di cose utili ma anche tenebrose e sconosciute. L’essere umano tende naturalmente a guardare l’orizzonte, a cercare di superare quella linea, tra Cielo e Terra, che limita la sua visuale e che gli ricorda la propria piccola statura innanzi ai processi naturali, al potere sconvolgente della Natura e dei suoi umori (le varie stagioni che si susseguono). Conquistare la Montagna, scoprirne le ricchezze ed utilizzarle per aumentare il proprio potere, i propri gradi di libertà sulla Madre Terra, possono essere sembrati, ai primi uomini senzienti su questo pianeta, degli obiettivi fondamentali onde poter prosperare e, in varie fasi, sopravvivere durante le varie ere geologiche e le trasformazioni topologiche della Terra stessa.
Può sembrare che sto dando per scontato che l’essere umano non nasca sulle Montagne. Beh, io faccio partire il mio ragionamento da quanto tutti noi abbiamo imparato studiando la storia della civiltà umana. Tutti ricordiamo che, in un certo senso, la storia “nasce” tra i fiumi Tigri ed Eufrate, nella terra mesopotamica, di certo non ricca di Montagne ma legata ai corsi d’acqua (elemento fondamentale per la prosperità di comunità umane). In quei luoghi nascono le prime forme piramidali a gradoni, le Ziggurat, ovvero montagne sacre costruite dall’uomo onde essere più vicini agli dei. Da questo punto di vista, allora, possiamo pensare alla stessa Torre di Babele come una artificiale montagna la cui funzione era quella di acquisire il punto di vista di Dio e, alla luce della fragilità e caducità umana nonché della sua arroganza, fu dalla stessa divinità distrutta. Scalando i piani della Torre l’Individuo cercava di carpire i segreti di Dio per potersi così affrancare da Lui e rendersi indipendente: acquisisco il Potere che bramo ma senza assumermene pienamente la Responsabilità. In ambito ebraico-cristiano questo evento è spesso associato ad una qualche forma di punizione divina; a me piace pensare ad un atto amorevole, anche se doloroso, di apprendimento dall’esperienza.
È pur vero, comunque, che siamo qui chiamati a pensare anche a cosa osservavano ed a cosa pensavano, invece, gli abitanti del Tibet. In quanto nati sulle più alte montagne del mondo, tali popoli sembra abbiano sempre avuto un profondo contatto e sviluppato un’altrettanta coscienza del legame indissolubile con il nostro pianeta (almeno fintanto che l’essere umano non altererà sé stesso andando al di là di esso). Nascere e vivere sulle Montagne, su terreni verticali, richiama i passi verso la salita o la discesa, a riflette su come il sopra sia poi non troppo dissimile dal sotto, a desiderare di scoprire ciò che ci sovrasta ma anche da dove proviene ciò su cui ci reggiamo in piedi. In un certo senso, le Montagne sono come gli Alberi. Da bambini ci insegnano a disegnare gli alberi; essi sono associati anche alla nostra rappresentazione infantile del corpo umano. Le Montagne, invece, diventano sfondi per i paesaggi, elementi che danno dinamicità al disegno, che ci permettono di dividere il Cielo dalla Terra ma anche di delimitare il campo di azione della vicenda del disegno. I fondali teatrali, in un certo senso, hanno la stessa funzione scenica e di definizione dello spazio visivo. Mi viene da pensare, allora, alla stessa Grande Muraglia Cinese come la più grande Montagna artificiale della storia umana, capace di delimitare e difendere un territorio perché eretta a testimonianza di un Potere Alto, divino, il quale attira naturalmente i nemici a volerlo superare, distruggendolo o scavalcandolo.
Le montagne, infine, richiamano alla mente le miniere, i dangeon ed i draghi (per gli amanti dei giochi di ruolo e dei vari racconti di Tolkien), i nani (ai piedi di un monte ci sentiamo tutti così) e la nostra origine di cavernicoli. Le caverne, come nella rappresentazione di Platone, non solo ci incatenavano lontano, legati all’ignoranza delle Ombre, ma ci hanno anche protetto negli inverni gelidi delle glaciazioni. La Montagna, quindi, come ventre materno da cui nascere ma anche, troppo spesso, da saccheggiare perché carico di tesori, nonostante i pericoli nascosti nell’oscurità; tesori da riportare alla luce, tesori forse pericolosi ma anche affascinanti per questo. Tolkien, nelle sue storie, condannava i nani ad una bramosia infinita del metallo Mithril, che nelle miniere di Moria portò poi al risveglio di una forza malefica di Fuoco, un Balrog; mi ha sempre affascinato il fatto che, ad oggi, molti depositi di scorie radioattive, derivate dalla produzione di energia nucleare, siano stoccate nelle profondità di alcune antiche miniere oramai svuotate. Forse Tolkien ha visto più lontano del suo stesso orizzonte.
Le vette, comunque, non esistono solo sulla terra ferma, ma ne esistono anche nelle profondità del mare (come ben sanno gli oceanografi). Montagne e, soprattutto, vulcani sommersi, capaci di poter scatenare cataclismi come gli Tzunami, onde gigantesche che con la loro forza hanno nel tempo distrutto città ed ucciso centinaia di migliaia di persone. Mentre scrivo mi viene in mente il disastro nucleare di Fukushima del 2011 e delle tonnellate di acqua radioattiva che si riversò in mare, distruggendo un intero ambiente marino.
L’essere umano ha bisogno dell’acqua per sopravvivere; allo stesso tempo, come per le Ziggurat, l’uomo non deve dimenticare che le profondità marine non sono un dominio infinito da cui attingere e/o impadronirsi senza responsabilità.
Sono oramai secoli che l’essere umano esplora le profondità marine e, troppo spesso, non consapevolizza che tale azione rappresenta, allo stesso tempo, il passo fondamentale verso la ricerca interiore del proprio Spirito, delle proprie Origini più intime, del proprio Essere.
Sono profondamente (termine che non uso a caso) convinto che il Mare non abbia memoria o, per essere più precisi, non porta in sé una memoria umana, quella cosciente, quella che richiama a sé, per associazione, engrammi neurologici di fatti e sensazioni. Il Mare mantiene una inconscia e perpetua consapevolezza della propria impermanenza e trasformazione continua, dove arrivano a naufragare i piccoli patemi della terraferma, per poi fondersi in nuovi inizi, nella metempsicotica avventura di possibili, nuove soluzioni. Il Mare come specchio del Cielo dato che, come abbiamo detto, nelle sue stesse profondità troviamo vallate e montagne, vette non da scalare ma su cui immergerci e planare. D’altronde, in un certo senso, si naviga nel Cielo stesso, nel cui azzurro possiamo addirittura perderci, così come ci perdiamo nell’azzurro del Mare. Ma, alla fine, cosa mai perderemmo? Personalmente, solo quel senso di solitudine che tanto attanaglia l’individuo quando si aliena da sé stesso.
Pertanto, in conclusione: dove andiamo questa Estate? Beh, che voi siate amanti della Montagna o del Mare, ricordate sempre che, nonostante le differenze, entrambi nascondono vette e profondità da esplorare.
Soluzione alternativa? Potrebbe bastare anche solo uno Specchio d’acqua immerso nel Verde!
Salvatore Rotondi
Belle immagini