di Giuseppe Pilon
Secondo il principio prudenziale nella gestione degli investimenti… “potremmo perdere al massimo 900 milioni di euro” (!)
Con la (ancora poco nota) sentenza depositata il 29 luglio u.s., che ha visto la condanna dell’Amministratore e del D.G. di Enpam (di una pregressa gestione) a risarcire l’Ente per la somma di 39,479 milioni di euro – oltre interessi e rivalutazione monetaria -, la Corte dei Conti – in S.G. per la Regione Lazio ha condiviso l’assunto della Procura regionale, secondo cui “i plurimi e continuati investimenti finanziari a notevolissimo rischio avrebbero violato le norme dello statuto dell’Ente, il principio prudenziale nella gestione degli investimenti e le delibere del Consiglio di amministrazione inerenti i parametri di investimento”.
La difesa dell’Amministratore dell’Enpam ha, al contrario, sostenuto che lo stesso avrebbe sempre tenuto una “condotta improntata a criteri di trasparenza e di equilibrata e ponderata valutazione dell’interesse dell’ente amministrato” e che i membri del CdA dell’Enpam avevano sempre ben compreso sia la natura degli investimenti deliberati sia il fatto che nessun investimento potesse essere privo di rischi.
Il Collegio, invece, ha ritenuto che il comportamento dei convenuti (Amministratore e D.G.) è da ritenersi illecito, nell’ottica della responsabilità amministrativa, in quanto posto in essere in violazione di obblighi di servizio che imponevano loro, di rispettare determinate regole nel proporre agli organi deliberativi dell’Enpam l’acquisto dei titoli CDO in questione. Infatti, l’acquisto di questi ultimi, si poneva, in primo luogo, in contrasto con i principi fissati nello statuto dell’ente.

Parafrasando i principi espressi nella cennata sentenza, la Corte conclude che, nella scelta degli investimenti da effettuare nell’interesse dei propri scritti, l’organo amministrativo di un ente pubblico (Enpam) non può certamente permettersi di perdere il capitale investito, ma deve anche optare per la scelta più prudente.
E veniamo, adesso, alla politica degli investimenti della nostra Cassa
Sul finire del 2018, l’avv. Luciano (ex Presidente di CF) scriveva: “Il patrimonio di Cassa Forense è investito per il 50% in strumenti finanziari direttamente collegati al sistema produttivo Italia: gran parte degli investimenti è in titoli di Stato (3,1 miliardi), vi sono poi le partecipazioni in imprese quotate, pari a poco meno di 1 miliardo di euro, siamoe, inoltre, azionisti di Banca d’Italia per 225 milioni”. “Cassa Forense è molto attiva negli investimenti a diretto supporto dell’Economia Reale italiana nei diversi settori Infrastrutturali, nel sostegno allo sviluppo delle PMI e nella promozione di nuove iniziative imprenditoriali”.
“A tale proposito, sottolineo che ci sono stati importanti riflessi degli investimenti in termini occupazionali nella gestione di fondi di Venture Capital e Private Equity, laddove si sono registrati, rispettivamente, circa 200 e 1300 nuovi posti. Inoltre, molti degli investimenti in economia reale sono orientati alla crescita dell’Europa e dell’Italia.
Cassa Forense, inoltre, ha deciso di investire nel venture capital 75 milioni di euro in quanto crediamo che da questo tipo di iniziativa possa venire una forte spinta al volano delle innovazioni, sia tecnologiche che scientifiche, che possono spingere l’Europa ad una maggiore competitività”.
https://www.adepp.info/2018/10/cassa-forense-e-gli-investimenti/
Ma cos’è il Venture capital? (Fonte Wikipedia)
Il venture capital è l’apporto di capitale di rischio da parte di un fondo di investimento per finanziare l’avvio o la crescita di un’attività in settori ad elevato potenziale di sviluppo, innovazione e attrattiva, anche se l’investimento è rischioso (tale per cui un altro individuo o un’istituzione come una banca non lo intraprenderebbe).
Peraltro, la D.ssa Carissimi, dirigente servizio contabilità e patrimonio di CF, audita il 29.10.2019 dinanzi alla Commissione bicamerale di controllo sugli enti previdenziali, ha affermato:
“…Per quanto riguarda il rischio, ha ragione, è denaro previdenziale, quindi è importantissimo tenere sotto controllo il rischio, tant’è che – mi permetto di riepilogare – la Cassa si è dotata da qualche anno del modello di asset and liability management che serve proprio a determinare la sostenibilità dell’ente e, in funzione di tale sostenibilità, si può creare la distribuzione tra le varie classi di investimento.
C’è un dato oggettivo che rileva praticamente il rischio di mercato sul portafoglio attuale. Noi infatti, attraverso questo modello abbastanza complicato di proiezione del patrimonio attuale sul debito pensionistico futuro, riusciamo a determinare il rischio di mercato che al momento possiamo correre. È un dato che viene elaborato dall’advisor ex post, quindi è una funzione esterna. Il rischio di mercato in finanza non è eliminabile però, se ci pensa bene, stimato sul nostro portafoglio è il 6,9 per cento che attualmente corrisponde a 900 milioni. Quindi, nella peggiore delle ipotesi, su 13 miliardi finanziari, se proprio dovessimo andare in default potremmo rischiare al massimo 900 milioni: un rischio molto contenuto ed estremamente monitorato. Tra l’altro, questo è un dato attenzionato mese per mese, cioè viene fissato all’inizio dell’anno e poi viene controllato ogni mese, per fare in modo che il livello di rischio sia sempre al massimo entro questa percentuale. Quindi, effettivamente, essendo denaro previdenziale e non potendo purtroppo eliminare il rischio finanziario, lo teniamo sotto controllo”.
Dunque, se per un verso la Corte dei Conti impone che il capitale a natura previdenziale vada sempre e comunque preservato, per altro verso, i vertici di CF ritengono del tutto accettabile una perdita del 6,9% del patrimonio, pari a 900 milioni di euro di investimenti, remunerativi, certo, ma anche ad alto rischio.
La perdita del capitale previdenziale non può essere ritenuto in alcun modo un rischio accettabile! (vds. Corte dei Conti)
E per concludere, nella “Relazione del Collegio dei Sindaci” al Bilancio consuntivo 2020 di Cassa Forense (p.375), il Collegio scrive:
“Nel corso degli incontri periodici con il management dell’Ente, … il Collegio ha richiamato l’attenzione su alcuni aspetti strategici [o critici?, ndr] …:
• l’esigenza che, nel rispetto dello Statuto, sia il Comitato dei Delegati ad approvare i criteri generali di individuazione e ripartizione del rischio nella scelta degli investimenti;
• sempre in tema di politiche degli investimenti, il Collegio ha evidenziato l’opportunità che il Comitato Investimenti, organo meramente consultivo, riferisca in Consiglio di Amministrazione sull’intera gamma delle proposte di investimento ricevute dall’Ufficio, assieme al parere motivato sulle singole proposte;
• la necessità di interventi correttivi sul corredo informativo del bilancio tecnico e sui sistemi di comparazione con i bilanci ed altri documenti contabili interni;
• le esigenze di riconciliazione tra il rendimento contabile ed il rendimento finanziario del Patrimonio, rappresentate già nella relazione del Collegio al bilancio 2018 ed al 2019, e fortemente raccomandate anche dai Ministeri Vigilanti;…”.
Quindi, dai rilievi critici dei Sindaci sorgono spontaneamente alcune domande:
- se non è stato il Comitato dei Delegati, sino ad oggi, in CF, chi ha stabilito i criteri generali di individuazione e ripartizione del rischio nella scelta degli investimenti… in violazione delle norme statutarie?
- il CdA ha contezza del ventaglio di tutte le proposte di investimento o è l’organo consultivo del “Comitato degli Investimenti” che decide (e non solo consiglia) le strategie di investimento?
- il rendimento contabile e quello finanziario sono tra loro coerenti o parlano una lingua diversa?
Giuseppe Pilon