di Salvatore Rotondi
“Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile.
E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.”
(San Francesco d’Assisi)
“Cerco sempre di fare ciò che non sono capace di fare,
per imparare come farlo.”
(Pablo Picasso)
“Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente:
uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto
per amare, credere, fare e, principalmente, vivere.”
(Dalai Lama)
“Sii te stesso; tutti gli altri sono già stati presi.”
(Oscar Wilde)
“Non è mai troppo tardi per essere ciò che avresti voluto essere.”
(George Elio)
“Non hai bisogno di nessuno che ti dica chi sei o cosa sei.
Tu sei quello che sei!”
(John Lennon)
Avere o Essere
Nell’anno 1976 (l’anno della mia nascita), a New York, presso l’editore Harper & Row, il famoso psicologo e psicoanalista Erich Fromm (uno dei vertici ispiratori del movimento di psicologia umanistico-esistenziale) diede alle stampe la prima edizione del suo libro “Avere o Essere” in cui metteva nero su bianco il paradossale rapporto tra l’Esistenziale proprio dell’essere di ognuno di noi e l’esistenza di una società, come quella occidentale, volta alla cosificazione, alla mercificazione di oggetti ed esseri viventi. Potremmo sintetizzare il tutto nella frase oramai celebre: “Sei quello che consumi!”. Ma veramente ognuno di noi è solo questo?
…un uomo si definisce per le sue azioni e non per i suoi ricordi
Mi sovviene allora una delle scene più filosofiche (forse ora qualcuno riderà) del film “Total Recall” (in Italia “Atto di Forza”) del 1990, diretto da Paul Verhoeven e con protagonista Arnold Schwarzenegger. Liberamente (molto liberamente) tratto da un romanzo breve di Philip K. Dick dal titolo “Ricordiamo per voi”, nel film attraversiamo un momento della vita del protagonista durante il quale scopre che i suoi ricordi non esistono, non sono reali ma gli sono stati impiantati: lui non è lui ma è un altro; per giunta non è neanche l’eroe della storia, ma un doppiogiochista, grande amico del cattivo di turno, il quale vuole solo controllare le risorse del pianeta Marte e rendere tutti gli abitanti (mutanti compresi) suoi schiavi.
Al di là della continua metafora di una società che ci vuole solo consumatori da sfruttare (anche nei nostri istinti, basti pensare a VenusVille che potrebbe essere facilmente accomunabile a PornHub) e, nel caso, abbandonare se questo intacca la possibilità di esercizio del potere in mano ai pochi, il personaggio del caro Arnold (Douglas Quaid) ad un certo punto si trova al cospetto del capo dei ribelli (il mutante Quato, con poteri mentali paranormali…insomma, uno psicologo [piccola battuta sulle fantasie che la gente si fa sulle capacità della mia categoria professionale]) al quale dice: “Desidero riavere i miei ricordi, per essere di nuovo me stesso”; il mutante gli risponde: “Lei è figlio delle sue opere…un uomo si definisce per le sue azioni e non per i suoi ricordi!”.
Fare qualcosa
Questa scena mi è ritornata in mente mentre guardavo, per la prima volta, il film “Free Guy – Eroe per gioco” di quest’anno, diretto da Shawn Levy. Nel film, il protagonista (interpretato da Ryan Reynolds) è un personaggio PNG, ovvero un elemento non giocante, ma con intelligenza artificiale, di un videogioco online. Ad un certo punto della storia, il nostro Guy (tradotto dall’inglese: il nostro “Tipo”) esce dal loop della sua routine di gioco giornaliera ed inizia a diventare un vero e proprio giocatore/attore: inizia cioè a “Fare qualcosa”, ovvero a giocare come gli umani che si connettono al suo Mondo. Interessante la trovata di distinguere giocatori da non giocatori attraverso la presenza di occhiali che ti permettono di vedere il Mondo di Free City (così si chiama il gioco) in modo diverso, interattivo, con possibilità molteplici di guadagno e power-up straordinari. Insomma, come sempre tutto dipende dal modo e dal mezzo attraverso cui guardiamo ciò che ci circonda. Pregiudizi e filtri distinguono ancora i gradi di libertà concessi nelle nostre interazioni con gli oggetti del mondo.
Lui, d’altronde, non esiste!
Ho visto nel gentile Guy quasi la metafora dell’essere umano che desidera “Essere” nella propria tranquillità, anche se definita da altri sconosciuti (forse dagli stessi uomini con gli occhiali), ma semplicemente Essere. Allo stesso tempo, Guy sente dentro di sé che manca qualcosa: è come se dovesse “Fare” qualcosa di altro, ma non sa cosa…sente di avere uno scopo che va al di là della sua routine giornaliera. Il nostro “Fare”, così come quello di Guy, si apre allora ad un paradosso: facciamo/esercitiamo il nostro programma sociale oppure facciamo di tutto, scegliamo anche di errare, perché questo ci definisce come uomini, al di là dei nostri ricordi? Vogliamo aggrapparci alla sicurezza trasmessaci da quello che “dobbiamo fare” (ed Avere, Possedere) per essere parte della società oppure vogliamo continuare ad esplorare, scegliere ed evolvere per scoprire la nostra ragion d’essere in quanto individui e specie?
La parte più significativa del film (molto divertente e, di certo, non troppo cerebrale, come tutti i film dove compare il caro Reynolds) è il dialogo tra Guy e il suo migliore amico mentre sono a casa, da soli, di quest’ultimo. Quando Guy scopre di essere solo un programma ne resta sconvolto e cerca di capire se, ora, qualcosa nella sua vita abbia un senso: Lui, d’altronde, non esiste! L’amico, il quale ha continuamente rifiutato (nel mio ambito professionale diremmo: ha utilizzato la difesa psicologica della negazione) di pensare anche solo lontanamente di essere in un gioco, cerca di consolare Guy facendogli capire che, se anche loro due non esistessero, quel momento, quel “qui e ora” della loro interazione, del loro “Fare”, è e sarà per sempre Reale, innegabile. Due entità, nella loro interazione, evolvono, cambiano, si trasformano…e, qualche volta, giunti ad un certo grado di complessità: scelgono, decidono…Esistono!
Conosci te stesso!
Quanto ho appena scritto apre un universo di quesiti, alcuni dei quali verranno affrontati in futuro dagli studiosi di ogni disciplina umanistica e/o scientifica. Personalmente cercherò di dire la mia anche in futuro, attraverso questa rubrica e le cose che scrivo. Insomma, ora come ora, non voglio spoilerare altro (l’ho già fatto per due film prodotti a distanza di più di trent’anni l’uno dall’altro), ma sicuramente voglio rassicurare chi legge queste mie parole che Fare ciò che sentiamo liberamente e spontaneamente, nel rispetto dell’integrità dell’Altro, è forse il viatico migliore per rispondere alla domanda/imperativo delfico “Conosci te stesso”!
Pertanto, buona rivoluzione giornaliera ad ognuno di Noi e Grazie per avermi letto, per essere entrati in interazione con me anche questa volta: avete fatto in modo di rendere il mio Esserci veramente Reale e contribuito a farmi fare un altro passo nella mia ragion d’essere. Pertanto, vi Abbraccio Tutti come fa Guy con il suo amico, mentre guardiamo insieme il Cielo Azzurro di Marte.
Salvatore Rotondi