a cura di Anna Testa e Maria d’Ambrosio*
Cass. civ., sez. VI, ord. 11.1.2022, n. 567
Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso in danno del Ministero dello Sviluppo Economico per il pagamento in favore di un avvocato del compenso per l’attività da questo svolta quale componente del «Comitato di esperti» istituito per la valutazione delle proposte progettuali presentate nell’ambito del bando «Nuove Tecnologie Made in Italy».
Nello specifico, la Corte d’Appello dichiarava, in riforma della sentenza di primo grado, l’incompetenza del Tribunale di Catania in favore del Tribunale di Roma, conseguentemente revocando il decreto ingiuntivo.
Secondo i Giudici, infatti, l’art. 637, comma 3, c.p.c., che prevede che gli avvocati possono proporre domanda d’ingiunzione contro i propri clienti al giudice competente per valore del luogo ove ha sede il consiglio dell’ordine al cui albo sono iscritti, può essere applicato solo nel caso in cui la domanda monitoria abbia ad oggetto l’onorario per prestazioni professionali rese dall’avvocato in favore del proprio cliente, e dunque nell’ambito di un’attività prettamente difensiva, di natura giudiziale ovvero stragiudiziale; nel caso in esame, invece, oggetto dell’attività che l’avvocato era chiamato a svolgere non era l’adempimento di un mandato difensivo, né il titolo, e la sua iscrizione al Consiglio dell’Ordine degli avvocati, costituivano presupposto indispensabile per la nomina e lo svolgimento dell’incarico, formalmente affidato a soggetti esperti in campo tecnologico ovvero economico-finanziario.
L’avvocato ricorre in Cassazione, sostenendo che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di Appello, l’attività dallo stesso svolta in seno al «comitato di esperti» rientrava nell’ambito della previsione dell’art. 637 c.p.c., essendo la sua partecipazione richiesta e giustificata in ragione della specifica professionalità in campo giuridico.
Il ricorso è infondato. La Corte di Cassazione, infatti, afferma che la competenza (per valore) del giudice del luogo in cui ha sede il consiglio dell’ordine al quale l’avvocato è iscritto, ai sensi dell’art. 637, comma 3, c.p.c., trova applicazione solo relativamente alla domanda d’ingiunzione proposta per il credito all’onorario che l’avvocato vanti in conseguenza delle prestazioni professionali direttamente rese al soggetto che, nella qualità di “cliente”, abbia rappresentato e difeso in giudizio (Cass. civ., n. 7674/2019): la ratio della disposizione, pertanto, va ravvisata nella finalità di agevolare l’avvocato, per consentirgli di concentrare le cause, nei confronti dei clienti, nel luogo in cui ha stabilito l’organizzazione della propria attività professionale, cioè la sede principale dei propri affari ed interessi, con la conseguenza che solo per i crediti legati alle attività dell’avvocato svolte sul presupposto di tale iscrizione si giustifica la facoltà per lo stesso di avvalersi di tale foro alternativo.
Nel caso di specie, il rapporto contrattuale tra il professionista e l’amministrazione si pone al di fuori dell’ambito di un’attività tipicamente professionale ai sensi dell’art. 637 c.p.c. e non ha ad oggetto la quantificazione di un «onorario» per prestazioni professionali rese dall’avvocato in favore del proprio cliente:
il Ministero dello Sviluppo Economico, infatti, non può definirsi un “cliente” che ha rilasciato all’avvocato un mandato difensivo, quanto piuttosto un ente che ha formalmente affidato un incarico ad un gruppo di esperti in campo tecnologico, economico-finanziario (dei quali soltanto quattro con una laurea in materia giuridica).
Per questi motivi, la Corte ha rigettato il ricorso e dichiarata la competenza del Tribunale di Roma.
In conclusione la decisione dell’11 gennaio 2022, di cui finora si è ragionato, si inserisce nel solco già tracciato dalla Cassazione in tema di foro speciale previsto dall’art. 637, comma 3, c.p.c., secondo il quale la domanda monitoria depositata ai sensi del predetto art. 637, comma 3, c.p.c., deve avere ad oggetto una richiesta di onorario per prestazioni professionali rese dall’avvocato direttamente al cliente, rappresentato e difeso in giudizio, tuttavia aggiunge un quid pluris, una specificazione: l’attività resa dall’avvocato in altri contesti che non richiedano l’iscrizione all’albo, pur rimanendo attività professionale, è estranea alla ratio della previsione di cui sopra e non ne può pertanto comportare l’applicazione.
Anna Testa e Maria d’Ambrosio
*Dipartimento Nazionale Responsabilità Professionali del Movimento Forense