Inconstituzionale la censura della corrispondenza tra detenuto (al 41 bis) ed avvocato


Corte Cost., sent., 24 gennaio 2022, n. 18

di Alessandro Gargiulo e Giovanni Palma*

La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. e), l. n. 354/1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza dei detenuti e degli internati sottoposti al regime differenziato, senza escludere quella indirizzata ai propri difensori.
Il giudice a quo ritiene che la previsione generalizzata del visto di censura sulla corrispondenza con i difensori costituisca una irragionevole compressione, non solo del diritto di costoro alla libertà e segretezza della propria corrispondenza, ma anche, e soprattutto, dei loro diritti di difesa e al giusto processo, come garantiti dalla Costituzione e dalla CEDU.

Avv. Alessandro Gargiulo, Foro di Napoli

I numerosi interventi legislativi che, nel corso degli anni, si sono susseguiti sulla materia non hanno mai chiarito espressamente quale rapporto intercorra tra la previsione della sottoposizione a visto di censura della corrispondenza dei detenuti e internati in regime previsto dall’art. 41-bis ord. pen. e la disciplina sui controlli della corrispondenza applicabile alla generalità dei detenuti e internati, contenuta oggi nell’art. 18-ter ord. pen..
La giurisprudenza di legittimità, sulla base dell’esigenza di fornire una interpretazione costituzionalmente orientata, ha affermato che la libertà di corrispondenza dei detenuti in regime speciale può essere limitata, in virtù di quanto stabilito dall’art. 15 Cost., solo con un provvedimento dell’autorità giudiziaria, specificamente motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti indicati dall’art. 18-ter ord. pen. (Cass. Pen. n. 32452/2019, n. 51187/2018 e n. 43522/2014); quindi, in linea di principio, l’art. 18-ter ord. pen. trova applicazione anche nei confronti di detenuti e internati sottoposti al regime penitenziario speciale di cui all’art. 41-bis ord. pen..
Il rimettente, tuttavia, muove dal diverso presupposto interpretativo secondo cui la disposizione censurata, escludendo espressamente dalla sottoposizione a visto di censura soltanto la corrispondenza con i membri del Parlamento o con Autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia, troverebbe applicazione anche con riferimento alla corrispondenza con il difensore e si porrebbe quale lex specialis rispetto al regime penitenziario ordinario.

Avv. Giovanni Palma, Foro di Napoli

La pronuncia in commento richiama i precedenti con i quali la Consulta ha da tempo riconosciuto che la garanzia costituzionale del diritto di difesa – qualificato come “principio supremo” dell’ordinamento costituzionale – comprende il diritto, ad esso strumentale, di conferire con il difensore (Corte Cost. n. 216/1996), allo scopo di predisporre le difese e decidere le strategie difensive ed, ancor prima, allo scopo di poter conoscere i propri diritti e le possibilità offerte dall’ordinamento per tutelarli e per evitare o attenuare le conseguenze pregiudizievoli cui si è esposti (Corte Cost., n. 212/1997).
Il giudice delle leggi ha, altresì, evidenziato come tale diritto assuma una valenza tutta particolare nei confronti delle persone ristrette in ambito penitenziario, le quali, in quanto fruenti solo di limitate possibilità di contatti interpersonali diretti con l’esterno, vengono a trovarsi in una posizione di intrinseca debolezza rispetto all’esercizio delle facoltà difensive (così Corte Cost. n. 143/2013).
Questi principi, peraltro, trovano precise corrispondenze nel diritto internazionale dei diritti umani ed, in particolare, nell’art. 8 della CEDU nonché nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
La sottoposizione a visto di censura della corrispondenza con il proprio difensore, discendente dalla disposizione censurata, costituisce una vistosa limitazione del diritto in questione.
La procedura di visto comporta, infatti, l’apertura della corrispondenza da parte dell’autorità giudiziaria o dell’amministrazione penitenziaria delegata, la sua integrale lettura e il suo eventuale “trattenimento”, ossia la mancata consegna al destinatario, sia questi il difensore o lo stesso detenuto o internato.
In proposito, la giurisprudenza costituzionale considera che il diritto alla libertà e segretezza delle comunicazioni con il proprio difensore non sia assoluto, e sia soggetto a possibili bilanciamenti con altri interessi costituzionalmente garantiti, entro i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, e in ogni caso a condizione che non risulti compromessa l’effettività del diritto alla difesa (così Corte Cost. n. 143/2013).

Come la generalità delle misure previste dal 41-bis, anche il visto di censura della corrispondenza mira essenzialmente a impedire che il detenuto o l’internato possano continuare a intrattenere rapporti con l’organizzazione criminale di appartenenza e a svolgere così ancora un ruolo attivo all’interno di tale organizzazione, in particolare impartendo o ricevendo ordini o istruzioni rivolti a, o provenienti da, altri membri del sodalizio. Ed infatti, non si può escludere in assoluto che tali ordini o istruzioni possano essere trasmessi anche attraverso l’intermediazione di un difensore, con la conseguenza che l’estensione alle comunicazioni con i difensori del visto di censura potrebbe, in astratto, ritenersi misura funzionale a ridurre il rischio di un tale evento.
Tuttavia, nel contesto delle altre misure previste dal 41-bis, la disciplina censurata risulta del tutto inidonea a tale scopo, dal momento che il temuto scambio di informazioni tra difensori e detenuti o internati potrebbe comunque avvenire nel contesto dei colloqui visivi o telefonici, oggi consentiti con il difensore in numero illimitato, e rispetto al cui contenuto non può essere operato alcun controllo.
Inoltre, la misura – potendo addirittura impedire che talune comunicazioni giungano al proprio destinatario – appare certamente eccessiva rispetto allo scopo perseguito, dal momento che sottopone a controllo preventivo tutte le comunicazioni del detenuto con il proprio difensore. E ciò in assenza di qualsiasi elemento concreto che consenta di ipotizzare condotte illecite da parte di quest’ultimo.

La disposizione censurata, infatti, si fonda su una generale e insostenibile presunzione di collusione del difensore con il sodalizio criminale, finendo così per gettare una luce di sospetto sul ruolo insostituibile che la professione forense svolge per la tutela, non solo dei diritti fondamentali del detenuto, ma anche dello stato di diritto nel suo complesso.
Ruolo che, per risultare effettivo, richiede che il detenuto o internato possa di regola comunicare al proprio avvocato, in maniera libera e riservata, ogni informazione potenzialmente rilevante per la propria difesa, anche rispetto alle modalità del suo trattamento in carcere e a violazioni di legge o di regolamento che si siano, in ipotesi, ivi consumate.
La disposizione censurata, pertanto, è costituzionalmente illegittima nella parte in cui non esclude dalla sottoposizione a visto di censura la corrispondenza intrattenuta con i difensori.

Alessandro Gargiulo e Giovanni Palma

*Dipartimento Nazionale Movimento Forense sulle Responsabilità Professionali

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