a cura del Dott. Salvatore Rotondi
“La felicità è sempre soggetta all’invidia: la sola miseria non è invidiata da nessuno”(Socrate)
“L’invidioso mi loda senza saperlo.” (Khalil Gibran)
“Guardando bene, si scopre che nel disprezzo c’è un po’ di invidia segreta. Considerate bene ciò che disprezzate e vi accorgerete che è sempre una felicità che non avete, una libertà che non vi concedete, un coraggio, un’abilità, una forza, dei vantaggi che vi mancano, e della cui mancanza vi consolate col disprezzo.” (Paul Valéry)
“In una società di consumo ci sono inevitabilmente due tipi di schiavi:
i prigionieri delle dipendenze e i prigionieri dell’invidia.”
(Ivan Illich)
“Una delle proprietà della virtù è di non suscitare invidia.” (Jean-Jacques Rousseau)
Vizi e Virtù
Prima di tutto buon 2022 a tutti coloro che, da tempo, leggono questa rubrica mensile. Per chi, invece, legge per la prima volta queste mie riflessioni, spero che il tema portante di quest’anno possa incuriosire e piacere. Attraverseremo, infatti, quelli che sono considerati i vizi e le virtù dell’essere umano, partendo da quello che, forse, potremmo considerare il vizio più comune: l’Invidia (frequentemente associata ad emozioni e sentimenti quali rabbia, disprezzo, ammirazione, indignazione, svalutazione di sé e vergogna, il cui vissuto può poi indurre ad azioni aggressive o, viceversa, ad atteggiamenti passivi di rinuncia e sfiducia, nonché di autocommiserazione).
Come da abitudine, mi piace partire da alcune riflessioni sulla radice etimologia del termine che, difatti, affonda le proprie radici nel latino e precisamente nell’unione tra il prefisso in (sopra, in senso avversativo) e vĭdēre (guardare). Invidiare, pertanto, sembra letteralmente stare a significare una tendenza a guardare al di sopra in modo ostile, di traverso, al di là di ciò che direttamente si manifesta, vivendo un vero e proprio sentimento di fastidio e di gelosa ostilità nei confronti di chi si ritiene abbia migliori qualità, possibilità o sia maggiormente apprezzato e stimato dagli altri. L’invidia, pertanto, si correla spesso con un profondo e personale timore di non poter raggiungere ciò che si desidera, vivendo una profonda tristezza innanzi al bene altrui percepito così come male proprio. Molto spesso l’invidioso cerca di contrastare tali sentimenti con una tendenza difensiva, una formazione reattiva (come forse la potrebbe ritenere Freud), che si sostanzia in un auto-convincimento di superiorità rispetto all’altro, cosa che però non fa altro che acuire un senso di amarezza e di impotenza quando si arriva a constatare le reali doti altrui.
Invidia tra riconoscimento e conoscenza tra esseri umani
Possiamo ben intendere che, nel suo essere “vizio”, l’invidia non procura minimamente piacere ma, soprattutto, rende evidente un aspetto che ritengo essere fondamentale anche rispetto a tutti gli altri vizi (considereremo infatti principalmente quelli intesi come “capitali”): la loro natura profondamente relazionale e esistenzialmente comunicativa per quanto concerne l’essenza e l’Esserci dell’Essere Umano in quanto tale, nella sua tensione tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, individualmente e collettivamente.
Pertanto, non sembra errato ritenere che le radici dell’Invidia in quanto tale affondano sì nel nucleo profondo di noi stessi, dove si forma e si raccoglie la nostra identità umana, ma evidentemente cresce e si costituisce nel processo e nel bisogno di reciproco riconoscimento e conoscenza tra esseri umani; difatti, quando tali elementi mancano, la stessa identità del singolo si fa più incerta, sbiadisce, si atrofizza, sembra quasi lasciare il posto ad un vuoto che indica la mancanza di qualcosa, la perdita di un contatto fondamentale per poter esistere. È in quel momento che entra in scena l’invidia, la quale permette a chi è incapace di individuare sé stesso una difesa di ciò che si pensa essere o di quello che si pensa di dover-essere attraverso la ridefinizione immaginifica (quasi sempre in negativo) dell’Altro.
Proprio perché ne parliamo anche nella sua accezione collettiva, cioè in quanto “vizio”, l’Invidia è nei secoli (in particolare in ambito giudaico-cristiano) stata catalogata come uno dei sette peccati capitali (posto, in particolare, contro la virtù della Carità) che, nelle sue forme più accese, può associare all’odio anche il desiderio di distruzione (pensiamo, in primis, proprio al racconto biblico della eliminazione di Abele per mano del fratello Caino). Nel libro della Sapienza (2, 24) si ricorda inoltre che “la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo”; il testo sacro cioè collega il limite dell’umanità ad un peccato d’invidia e Satana (introdottosi nell’Eden sotto forma di serpente) è l’invidioso per eccellenza in quanto colui che, incapace di accogliere la grandezza di Dio, su tale incapacità fonda qualunque elemento di confronto esistenziale che, però, lo porterà sempre e solo ad un senso di sconfitta eterno. Sembra quindi che l’Invidia abbia connotazioni di “vizio capitale” in questa sua tendenza ad esprimersi attraverso un eccessivo amore di sé, a scapito dell’amore fraterno e dell’amore per Dio, creando così una grande possibilità per l’azione del male. Caino invidia Abele per i doni che lui è capace di offrire a Dio, quindi inizia a desiderare di poter essere lui (e non Abele) ha dare quegli stessi doni ed essere pertanto lodato al posto suo. Caino, dimentico della propria individualità e unicità, si perde così nella confusione identitaria con il proprio fratello, in particolare con quelle caratteristiche che ritiene di non possedere. Tale riflessione ci aiuta a delimitare il movimento “errato” che avviene nel processo di invidia: riconosciamo cioè che c’è un bene e lo desideriamo ma, invece di perseguirlo in maniera attiva (ad esempio cercando di superare i nostri limiti, uscendo dalla nostra comfort zone, facendoci aiutare dagli Altri, etc.), ci rattristiamo perché qualcun altro ce l’ha e noi no.
Personalmente e professionalmente, però, ritengo fondamentale ritenere l’invidia (specialmente quella riconosciuta con sé stessi e vissuta senza vergogna, così come l’ignoranza, con gli altri) come una occasione di riflessione individuale e gruppale, per scoprire il proprio sé che, in quanto umano, è inevitabilmente connesso con le radici esistenziali del nostro Essere. Da punto di vista dell’individuo, pertanto, prima di essere un vizio capitale, l’invidia è da intendersi come un vero e proprio meccanismo di difesa, un disperato e maldestro tentativo di recuperare la fiducia e la stima di sé stessi e del proprio valore, svalutando ai propri occhi (e molto spesso anche a quello degli altri, ad esempio attraverso pratiche di hating, di odio, molto diffuso sui social media) l’Altro da sé.
Se ci pensiamo bene, viviamo in un momento paradossale della storia dell’umanità: abbiamo sistemi di comunicazione quasi simultanea attraverso l’informatica e i social media, eppure siamo continuamente tediati dalle cosiddette fake news e dagli haters professionisti, fomentatori di odio (i cosiddetti “leoni da tastiera”) che, evidentemente, sono preda di un profondo sentimento di Invidia, un sentimento che sembra connetterci tutti. Eppure, l’invidia continua ad essere una emozione socialmente condannata in modo esplicito, vissuta spesso in solitudine (innanzi ad un terminale oppure ad uno smartphone) e soprattutto difficile da ammettere anche verso sé stessi.
È comunque ora evidente come l’innesco del sentimento di invidia sia sempre e comunque il desiderio di possesso, che sia esso di un bene, di una qualità o di una condizione che impone un confronto tra il soggetto, frustrato nel suo desiderio, e chi invece lo possiede. Tuttavia i beni o le qualità invidiate, in molti casi, non sono quasi mai risorse limitate ma, invece, risultano essere accessibili anche allo stesso invidioso; quest’ultimo, però, preferisce intraprendere la strada del malanimo piuttosto che quella dell’azione, del fare (al di là di quella, eventuale, di cercare di distruggere l’altro). Il soggetto potrebbe infatti reagire, mettendo in atto comportamenti che lo portino ad ottenere la stessa cosa, provando a fare come l’altro, il quale diventerebbe quindi uno spone al superamento dei propri stessi limiti. Come mai quindi l’invidioso non mette in atto questo comportamento più funzionale? Perché l’invidia si lega fortemente al senso di autostima e alla sicurezza di sé. L’invidioso tende a stabilire la propria identità sulla base di confronti con gli altri, in maniera oppositiva piuttosto che costruttiva. Per questi motivi egli non si ritiene in grado di raggiungere lo stesso status dell’invidiato e non trova altre soluzioni per colmare il distacco, se non quella di disprezzare, sminuire, svalutare e augurare il “male” dell’invidiato, salvaguardando la propria fragile identità.
Invidia e Gelosia
In questa riflessione sull’Invidia, non dobbiamo dimenticare come essa spesso venga accostata e/o confusa con la gelosia. La più grande differenza tra le due, però, risiede nel fatto che mentre per l’invidia abbiamo una sofferenza per la presunta mancanza di qualcosa che altri hanno (inducendo processi cognitivi che mantengono in modo disfunzionale l’attivazione emotiva, quali l’attenzione selettiva, il rimuginio e la ruminazione dei pensieri), nella gelosia sperimentiamo un’emozione che nasce dentro di noi (sottoforma di stati mentali di sospettosità, sfiducia, autosvalutazione, paura, ansia e rabbia, ipersensibilità alle frustrazioni ma anche amore e desiderio) quando temiamo di perdere una persona o una cosa, che già si “possiede”, durante il confronto con un potenziale rivale. Vero è che in alcuni casi queste due emozioni si presentano comunque congiuntamente nella stessa situazione: per esempio quando in una relazione si prova gelosia (si attiva quindi il timore di perdere il partner) a causa di una terza persona che possiede delle qualità che reputiamo non ci appartengano, per cui si prova anche invidia. La gelosia comunque viene meglio tollerata in società in quanto si mostra più passionale ed aperta; inoltre la sottrazione di qualcosa che per certi versi “spettava” al soggetto, perché già in suo possesso, è vista maggiormente come un torto “intenzionale”, causa di un dolore oggettivo e di qualcosa che va oltre l’ordine costituito alla base delle società umane.
Invidia e gelosia, comunque, condividono quello che ritengo essere un fulcro comune: l’ostilità. Chi, ad esempio, non consegue uno scopo desiderato, soffre vedendo che gli altri invece sono in grado di raggiungerlo e prova ostilità verso coloro che gli causano questa sofferenza; questo individuo, inoltre, potrebbe ritenere sé stesso più degno dello scopo rispetto agli altri o, addirittura, rispetto a qualcuno che viene ritenuto non un competitor ma un amico, il cui successo nella stessa impresa potrebbe così far emergere un senso di gelosia che verrebbe a legarsi alla paura di perdere l’immagine positiva e vincente che lo stesso amico potrebbe possedere di lui. Un’altra ragione di ostilità potrebbe risiedere inoltre nella constatazione che l’invidiato presenta all’invidiante una meta come raggiungibile, e questa presa di consapevolezza di realizzabilità di uno scopo da parte di altri ma non da parte del sé, potrebbe indurre chi prova invidia ad una autosvalutazione della propria idea di sé, la quale esce così perdente dal confronto sociale.
Al di là delle loro valenze culturali, sociologiche e religiose, psicologicamente parlando provare invidia e/o gelosia resta un fenomeno comune. Allo stesso tempo, però, in certe condizioni esse possono divenire patologiche; difatti, maggiore è la rigidità, la pervasività e l’immodificabilità dei contenuti e dei processi cognitivi, nonché dei correlati comportamentali legati a tali emozioni, maggiore sarà la probabilità di riscontrare un quadro di gelosia o invidia patologica. Si può parlare, pertanto, di gelosia normale quando è inseparabile dall’amore per il partner e non presenta rigidità e pervasività dei pensieri per quanto concerne credenze legate al sospetto o alla minaccia di perdita del partner; non vi sono quindi dilaganti comportamenti compulsivi di controllo, di investigazione né comportamenti aggressivi e coercitivi. La gelosia patologica (riscontrabile nei disturbi della personalità, oppure in tratti di personalità sottosoglia come, ad esempio, nel disturbo dipendente, borderline, paranoide, narcisistico, antisociale, etc.), invece, si genera da comportamenti che non trovano riscontro nella realtà, da azioni infondate, e deriva, sostanzialmente, da un’angoscia che prende forma nella mente senza nessun riscontro oggettivo. Quest’angoscia produce delle vere e proprie rappresentazioni mentali in cui la realtà viene erroneamente interpretata e si costruiscono ad hoc lo scenario, il rivale e, più di tutto, le prove dell’infedeltà. Abbiamo così almeno quattro tipi di gelosia che si caratterizzano per i seguenti aspetti: nella forma ossessiva, sono presenti sentimenti egodistonici ed intrusivi di gelosia che la persona non riesce a far cessare; nella forma depressiva, la persona prova un senso di inadeguatezza rispetto al partner, aumentando il rischio percepito di tradimento; nella forma con associata ansia da separazione, la prospettiva di una perdita del partner appare intollerabile, e vi è un rapporto di dipendenza e di continua ricerca di vicinanza; nella forma paranoide, vi è un’estrema diffidenza e sospettosità, con comportamenti controllanti ed interpretativi. Tutto questo, così, può portare a dei veri e propri deliri di gelosia che in alcuni casi sono all’origine di delitti passionali.
Volendo concludere questo piccolo viaggio tra il vizio dell’Invidia e la sua ancella la Gelosia, non posso non unirmi ad altri pensatori che, mantenendo la loro benevolenza verso il genere umano, intendono ritenere che possano esservi accezioni positive per entrambe. Così come può esistere una gelosia “benevola”, quella cioè che si fa sollecitudine ed attenzione non eccessiva al bene di chi si ama, così esiste certamente un’Invidia “benevola” che porterebbe la persona ad automigliorarsi a seguito della percezione della propria mancanza nel confronto con l’altro. Nell’invidia buona vi è cioè l’esistenza di alcuni meccanismi positivi che portano l’individuo a confrontarsi con l’altro al fine di raggiungere i propri scopi in ottica migliorativa. In tal senso può esserci un’identificazione positiva con l’altro. In tal caso, il sentimento “al di là dello Specchio” proprio dell’Invidia può certamente essere una reale Ammirazione dell’Altro, nel momento in cui accanto al riconoscimento di meriti e qualità altrui non vi è la propria autosvalutazione e la sensazione di inferiorità.
Non dimentichiamolo mai: Ammirare, così come Amare, ci apre al Superamento dei nostri Limiti che, troppo spesso, il sentimento d’Invidia ci impone innanzi agli occhi ed a cui la Paura cerca di incatenarci, riducendo i nostri orizzonti che, come vedremo nei prossimi mesi, sono e restano Infiniti!
Dott. Salvatore Rotondi