È quanto evidenziato dalla CEDU, sez. I, nel peculiare caso Y. c. Polonia del 17 febbraio
di Alessandro Gargiulo
La vicenda riguarda «un transessuale da femmina a maschio che ha ottenuto il riconoscimento legale del genere. Nel suo ricorso il ricorrente lamentava una violazione del suo diritto alla vita privata a causa del fatto che il suo certificato di nascita completo indicava ancora il sesso assegnato alla nascita» e riteneva di essere discriminato rispetto agli adottati cui è rilasciato un nuovo certificato di nascita col cognome della famiglia adottiva.
Più precisamente nel certificato di nascita completo era stata inserita una nota a margine indicante la rettifica del sesso ed il cambio del nome da X. a Y., mentre il suo breve estratto e i nuovi documenti di identità indicavano solo il sesso riassegnato.
Tutti i tentativi per ottenere il nuovo certificato di nascita completo sono stati vani. Il rifiuto di rilasciare un nuovo certificato di nascita “rettificato” non è pregiudizievole.

La normativa del COE sul punto è molto chiara sul fatto che tutti gli Stati membri debbano «sviluppare procedure rapide, trasparenti e accessibili, basate sull’autodeterminazione, per cambiare il nome e il sesso registrato delle persone transgender su certificati di nascita, carte d’identità, passaporti, certificati di istruzione e altri documenti simili; rendere queste procedure disponibili per tutte le persone che cercano di utilizzarle, indipendentemente dall’età, dallo stato di salute, dalla situazione finanziaria o dai precedenti di polizia», tanto più che già «nel 2002, nella causa Goodwin contro Regno Unito, la Grande Camera della Corte di Strasburgo ha sottolineato che nel ventunesimo secolo i diritti delle persone transgender dovrebbero essere efficacemente protetti dagli Stati. Dovrebbero avere lo stesso diritto allo sviluppo personale e alla sicurezza fisica e morale di cui godono gli altri nella società» (Raccomandazione CM/REC 2010/5, Commento sui diritti umani intitolato “Divorzio forzato e sterilizzazione – una realtà per molte persone transgender” del Commissario per i diritti umani del COE del 2010 e Risoluzione 2048/2015 dal titolo “Discriminazione contro le persone transgender in Europa” dell’Assemblea parlamentare del COE).
Gli Stati, poi, sulla riassegnazione e sulla rettifica del sesso hanno un margine discrezionale, la cui ampiezza dipende da vari fattori ed hanno chiari obblighi positivi di protezione:
per esempio non possono negare ad un transgender la pensione di vecchiaia perché non ha divorziato, né imporgli il divorzio per ottenere detta rettifica o subordinarla all’effettivo cambio di sesso o negargli il cambio del nome prima della stessa (EU:C:2018:492, S.V. c. Italia, AP, Garçon e Nicot c. Francia e Hamalainen c. Finlandia [GC]).

L’interessato deve però dimostrare «di aver subito conseguenze negative o difficoltà sufficientemente gravi derivanti dal fatto che il sesso assegnato alla nascita è ancora visibile sotto forma di annotazione sul suo certificato di nascita completo».
Ciò non è stato fatto nella fattispecie dato che i casi in cui la normativa interna richiede di presentare l’atto di nascita completo sono rari (procedimenti di adozione, la domanda di cittadinanza in un altro Stato ed eventualmente nell’ambito di un procedimento penale): il ricorrente si era sposato e viveva con la moglie che aveva ottenuto la custodia della nipotina, ha sempre condotto una vita, anche sociale, come maschio ed è sempre stato in grado di dimostrare la propria identità mediante documenti di identificazione o il breve estratto del certificato di nascita in cui era indicata, come detto, la sua identità maschile.
Inoltre l’atto di nascita completo era inaccessibile al pubblico, consultabile, solo nei suddetti casi, dalle pubbliche autorità e non ha perciò subito alcun pregiudizio alla vita privata e serenità familiare ex art. 8 Cedu: il potenziale rischio di conseguenze negative non era in grado di rendere carente l’attuale sistema domestico in materia, molto articolato e completo, come sopra evidenziato, sono stati equamente bilanciati gli interessi in gioco e non è stato, perciò, oltrepassato il margine discrezionale riconosciuto allo Stato che ha assolto ai suoi doveri positivi.
Nessuna equiparazione tra transgender ed adottati
È palese la differenza tra la situazione tra un transgender ed un adottato, cui, in caso di adozione completa è rilasciato un nuovo certificato con il nome dei genitori adottativi ed il suo nuovo cognome: non c’è stata, perciò, alcuna discriminazione ex art.14 Cedu.
di Alessandro Gargiulo – Coordinatore Dipartimento Nazionale Movimento Forense sulle Responsabilità Professionali