a cura di Alessandro Gargiulo*
RESPONSABILITÀ CIVILE DIRETTA DEI MAGISTRATI
Con la sentenza n. 49/2022, la Corte Costituzionale ha affermato che «la tecnica manipolativa del ritaglio, in sede di referendum, non è ammessa se con essa non ci si limita ad abrogare la normativa vigente ma si propone una disciplina giuridica sostanzialmente nuova, non voluta dal legislatore», dichiarando, così, l’inammissibilità del referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati, promosso da 9 Consigli regionali, i quali proponevano l’abrogazione di diverse disposizioni della l. n. 117/1988 (c.d. legge Vassalli), come modificata dalla cosiddetta riforma Orlando, n. 18/2015, che disciplina il regime della responsabilità civile dei magistrati per danni arrecati dagli stessi nell’esercizio delle loro funzioni.
EUTANASIA E OMICIDIO DEL CONSENZIENTE
Con la sentenza n. 50/2022, la Consulta ha affermato l’inammissibilità della richiesta di referendum sull’abrogazione parziale dell’art. 579 c.p. (omicidio del consenziente) poiché, «rendendo lecito l’omicidio di chiunque abbia prestato a tal fine un valido consenso, priva la vita della tutela minima richiesta dalla Costituzione».

Ciò in quanto tale quesito referendario «avrebbe reso penalmente lecita l’uccisione di una persona con il consenso della stessa al di fuori dei tre casi di “consenso invalido” previsti dal terzo comma dello stesso articolo 579: quando è prestato da minori di 18 anni; da persone inferme di mente o affette da deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di alcool o stupefacenti; oppure è estorto con violenza, minaccia o suggestione o carpito con inganno». Sarebbe stata sancita, così, «la piena disponibilità della vita da parte di chiunque sia in grado di prestare un valido consenso alla propria morte, senza alcun riferimento limitativo».
La Corte ha rilevato che l’incriminazione dell’omicidio del consenziente, risponde allo scopo di proteggere il diritto alla vita, soprattutto, delle persone più deboli e vulnerabili di fronte a scelte estreme, collegate a situazioni, magari solo momentanee, di difficoltà e sofferenza, o anche soltanto non sufficientemente meditate.
Rilevando il bene apicale della vita umana, per il Collegio «la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene, risultando, al contrario, sempre costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima».
Ne consegue che l’art. 579 c.p. può essere pertanto modificato e sostituito dal legislatore, ma non puramente e semplicemente abrogato, senza che ne risulti compromesso il livello minimo di tutela della vita umana richiesto dalla Costituzione.
CANNABIS
Infine, con la sentenza n. 51/2022, la Corte Costituzionale ha stabilito anche l’inammissibilità del quesito referendario sull’“abrogazione di disposizioni penali e di sanzioni amministrative in materia di coltivazione, produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope”, in quanto si pone in contrasto con le Convenzioni internazionali e la disciplina europea in materia, difetta di chiarezza e coerenza intrinseca ed è, infine, inidoneo allo scopo.
La Corte ha rilevato che l’eliminazione della parola “coltiva” dal primo comma dell’art. 73 del Testo unico sugli stupefacenti – oggetto della prima parte del quesito referendario – «farebbe venir meno la rilevanza penale anche della coltivazione delle piante da cui si estraggono le droghe pesanti».
Ne consegue che la richiesta referendaria «avrebbe condotto quindi alla depenalizzazione della coltivazione di tutte le piante da cui si estraggono sostanze stupefacenti, pesanti e leggere, con ciò ponendosi in contrasto con gli obblighi internazionali derivanti dalle Convenzioni di Vienna e di New York e con la Decisione Quadro 2004/757/GAI» e sarebbero rimaste inosservate le norme che sanzionano la coltivazione della pianta di cannabis nonché di ogni altra pianta da cui possono estrarsi sostanze stupefacenti (artt. 26 e 28 del Testo unico sugli stupefacenti)., rendendo fuorviante il quesito per l’elettore.
Inoltre, il Collegio ha evidenziato un profilo di manifesta contraddittorietà, «perché l’abrogazione della pena detentiva per le condotte aventi ad oggetto le sole droghe leggere avrebbe determinato una stridente antinomia con il trattamento sanzionatorio di analoghi fatti, ma di «lieve entità». Per questi ultimi, infatti, sarebbe rimasta comunque in vigore la pena congiunta della reclusione e della multa; ciò avrebbe finito per porre l’elettore di fronte a una scelta illogica e contraddittoria.
a cura di Alessandro Gargiulo