di Salvatore Rotondi
“Quando sei in preda all’ira non fare e non dire niente.” (Pitagora)
“L’ira non manca mai di ragioni, ma raramente ne ha una buona.” (Lord Halifax)
“L’ira è una pagliuzza, l’odio invece è una trave.” (Sant’Agostino)
“L’ira è un furore di breve durata, trattieni i tuoi impulsi, che, se non sono sottomessi, comandano.” (Orazio)
“Non si può stringere una mano con il pugno serrato.” (Indira Gandhi)
“Non con l’ira ma col riso s’uccide.” (Friedrich Wilhelm Nietzsche)
Il fuoco dell’Ira
Quale essere umano, almeno una volta nella sua vita, non è stato pervaso da una sensazione di rabbia profonda che potrebbe essere soprannominata “ira”? A differenza del campo/clima di tensione che, molto spesso, è possibile percepire intorno a noi in situazioni limite (come, ad esempio, in un autobus o un treno di pendolari sovraffollato), il fuoco dell’Ira sembra essere qualcosa che sorge da dentro il singolo individuo, dalle sue profondità, una qualche forma di ribellione allo stato delle cose in cui ci si trova, che moltiplica (forse per forti scariche di adrenalina) le nostre forze e ci induce ad agire al di là di qualsiasi ragionevolezza.
Da bambino sono sempre rimasto affascinato dall’incipit delle puntate di una famosa serie televisiva, trasmessa negli USA dal 1977 al 1982 e arrivata in Italia ad inizio anni ’80 del secolo scorso. Quella serie portava sul piccolo schermo, per la prima volta, la storia fumettistica de “L’Incredibile Hulk” e, in particolare, le vicende del dott. David Bruce Banner che, creduto morto, vagava come un nomade alla ricerca di una soluzione per il suo problema.
Come bambino, cieco ad un occhio ma nella forma completamente sano, la scena dell’intro della serie mi faceva sentire come se qualcuno mi capisse: si vedeva la sovrapposizione dell’immagine del dott. Banner sospirante mentre, in uno split simmetrico, parte del suo volto era sostituita dall’urlo di Hulk che esprimeva tutta la sua Ira.
Dentro di me, allo stesso tempo, qualcosa urlava, una rabbia repressa e, contemporaneamente, la rassegnazione della mia cecità, del mio mondo “diverso” da quello degli altri. Empatizzavo così con il dottore e con il suo mostro interiore, incompresi e scacciati, incapaci di adattarsi alle angherie ed ai soprusi ingiustificabili (cosa che faccio ancora oggi). Qualche anno dopo, ho riscoperto una frase detta dallo stesso personaggio del dott. Banner in un film legato alla stessa serie e che qui riporto: «In ognuno di noi vive qualcosa di simile alla bestia. Un essere rabbioso. Anni fa mi servivo della scienza per studiare questa bestia, per portarla fuori da me. Usavo i raggi gamma per poterla liberare, ma ne ho usati troppi, decisamente troppi. Adesso la bestia è fuori dal mio controllo ed emerge ad ogni scatto di rabbia. Io mi chiamo David Banner. La gente crede che io sia morto. Invece faccio una vita da nomade e mi sforzo di tenere rinchiusa la bestia, per impedirle di manifestarsi.» (tratto dal prologo al film tv “Processo all’incredibile Hulk”, fonte Wikipedia)
L’ira e l’Indignazione
Ogni volta che ho a che fare con una persona sofferente, incompresa, sofferente nelle sue difficoltà di trovare un senso a quello che le accade, alla sua esistenza, mi chiedo dove si sia nascosta la sua indignazione, dove si trovi quella spinta a cambiare le cose, a trasformare la propria vita, dove si sia nascosto il suo “Incredibile Hulk” dietro la maschera del quasi rassegnato dott. Banner. A volte mi trovo così impegnato a farlo riemergere, per parlarci, per ascoltarlo, per aiutare la persona stessa a non mortificare più quello che James Hillman, in molti dei suoi scritti, ha definito Daimon (sulla scia della sua conoscenza della psicologia junghiana) ovvero il nostro principio animistico, la nostra energia vitale della quale dobbiamo sempre aver rispetto ed evitare di mortificare con il pericolo che, poi, essa si esprima attraverso esplosioni d’Ira.
L’ira come “superamento”
Se, come è solito in questi miei contributi web, ci riferiamo alle origini indo-europee del termine ritroviamo che Ira sta ad indicare una tendenza a sollevare, ergere, spingere in modo violento. Nelle sue radici latine, inoltre, lo stesso termine viene associato ad “ire”, ovvero “andare”. Pertanto, non mi sembra errato ritenere che tale termine voglia trasmettere un senso di superamento attraverso forza e resistenza di uno status-quo divenuto insostenibile, un violare qualcosa che si presenta a noi come statico per aprire ad una dinamicità non necessariamente annichilente, un voler “uscire” da una situazione evidentemente di sofferenza e costrizione.
Come sempre, però, è l’eccesso a rendere qualcosa deleterio, poiché l’ira/rabbia inespressa o mal veicolata (così come la voce del nostro personale Daimon che si vede negato) comporta l’essere sottoposti ad un veleno che corrode, principalmente, il suo portatore e non certamente solo chi ne viene investito (scrivendo questa frase mi sovvengono alla memoria i casi di cronaca con l’utilizzo dell’acido e mi chiedo: quanto di quell’uso abbia un valore simbolico associabile ad un’ira patologica?).
L’Ira vizio capitale
È in questo, allora, che l’Ira si fa uno tra i sette vizi capitali dell’essere umano. La rabbia che si fa indignazione e ci spinge, consapevolmente a voler cambiare le cose che ci circondano e noi stessi, non può ancora essere definita con il termine Ira. Ci troviamo, allora, innanzi ad una manifestazione d’ira quando la consapevolezza delle conseguenze delle nostre azioni svanisce e cede il posto ad una esplosione di forza vitale incapace di essere orientata, di ottenere ciò a cui anela, dispersa senza senso in una forma che tenta solo di Esserci per Paura di risultare inesistente, di non essere vista. L’essere iracondo è fuori controllo, impreparato, accerchiato dalla paura di scoprire che la propria esistenza non ha ragion d’essere e che quella ragione, se pure ci fosse, possa essere talmente fragile da subire lo schiacciamento da parte di forze avverse.
Ritroviamo così l’Ira nelle guerre, negli scontri di piazza, nelle contrapposizioni “Noi contro Loro”, nei gesti impulsivi e privi di finalità condivisibili, nel desiderio di cancellare l’Altro, nell’azione volta non al dialogo ed alla comprensione delle radici del comportamento di ognuno (anche se questo fosse un essere violento) ma dal desiderio di annullare e cancellare l’Altro (sia esso un individuo o, addirittura, una forma culturale o linguistica). L’Incoscienza di Sé spinge l’Uomo contro l’Altro Uomo, mossi dalla Paura di essere annichiliti dall’Ira altrui; quest’ultima, però, non è altro che lo Specchio simmetrico della nostra personale inadeguatezza esistenziale.
Non penso di stare scrivendo qualcosa di nuovo; sicuramente uomini come Gandhi o cantautori come John Lennon lo hanno saputo comunicare molto meglio di me. Resta comunque il fatto che professare la non violenza non significa subire passivamente la prevaricazione altrui. Subire senza agire alimenta solo ed esclusivamente una personale frustrazione, la rabbia e, infine, lo scoppio dell’Ira. Quest’ultima, quindi, la voglio qui vedere come sintomo, come espressione fenomenica di uno degli aspetti della nostra natura umana, della nostra volontà di trasformazione e cambiamento, del nostro desiderio vitale di movimento e di fuoriuscita da ambiti costrittivi, della profonda volontà di trascendenza che accomuna tutti gli esseri umani del pianeta Terra, di quel superamento tanto caro ad Hegel e tanto incompreso dai suoi posteri che, ancora oggi, trovano difficoltà nella lettura della sua Fenomenologia dello Spirito.
Ascolto e dialogo, cura per l’Ira
Come sintomo, allora, l’Ira diventa leggibile nelle sue forme cliniche. Pensiamo così al Bullismo ed all’Ira di chi può subire atti di questo tipo. Normalmente siamo pronti a definire i ruoli, ad individuare vittima e carnefice ed a riservarci, quando interveniamo, il ruolo dei Salvatori. Troppo spesso il nostro tendere a definire/giudicare ruoli, schermi, comportamenti nasconde solo la nostra tendenza alla semplificazione e indifferenza, innanzi alla complessità delle relazioni umane che, spesso, ci sembrano incontrollabili; ma è proprio la nostra semplificazione a renderle incomprensibili e, di conseguenza, ingestibili. Ed allora accade che, a volte, la vittima può stancarsi di questo ruolo e, improvvisamente (perché l’abbiamo voluta collocare in quel ruolo impotente), reagire alle angherie subite per anni, alle parole per le quali ha sorvolato e fatto finta di nulla, per quieto vivere di tutti, per “non disturbare” con la propria presenza. Ahimè, quando la “vittima” agisce, quello che accade non piace mai a nessuno (compreso il persecutore): andiamo da atti di distruzione con comportamenti antisociali, schiaffi in mondovisione (pensiamo alla recente notte degli Oscar statunitensi, con il caso Chris Rock-Will Smith), fino a veri e propri tentativi di omicidio e/o suicidio.

È possibile riuscire a prevenire tutto questo? È possibile evitare che insorgano comportamenti d’Ira? Personalmente penso di sì attraverso l’ascolto, il dialogo e l’educazione all’attenzione, contrastando l’indifferenza a tutti i suoi livelli (dal singolo individuo alle organizzazioni fino alle strutture istituzionali e nazionali). È infatti la nostra indifferenza, l’ignorare lo stato d’animo altrui, la mancanza di confronto e di libera espressione ad alimentare la chiusura di una metaforica pentola a pressione che poi esplode negli atti iracondi. L’indifferenza verso lo stato del nostro Pianeta, dell’ingiustizia mondiale, della sopraffazione di chi non ha interesse a proteggersi, perché non c’è ragione nel farlo se tutti ci guardassimo negli occhi, sarà sempre la fonte dell’Ira. Chissà, forse un giorno quando, come un bambino che guarda negli occhi dell’Incredibile Hulk e riesce a calmarlo accogliendolo, riusciremo a non avere paura di noi stessi allora ri-troveremo la strada per trasmutare l’Ira in semplice Assertività.
A cura di Salvatore Rotondi